Afghanistan: iniziato il ritiro delle truppe americane

In questa immagine d'archivio, soldati dell'Esercito Nazionale Afghano (ANA) attendono l'apertura della cerimonia della Direzione Nazionale di Sicurezza Security (NDS) agenzia di intelligenza fondata dagli Stati Uniti a Lashkar Gah, Afghanistan.
In questa immagine d'archivio, soldati dell'Esercito Nazionale Afghano (ANA) attendono l'apertura della cerimonia della Direzione Nazionale di Sicurezza Security (NDS) agenzia di intelligenza fondata dagli Stati Uniti a Lashkar Gah, Afghanistan. (ANSA-EPA/WATAN YAR)

WASHINGTON. – Al via il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, un altro passo verso la fine di una guerra avviata all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001 e durata oltre 18 anni. A dieci giorni dallo storico accordo del 29 febbraio tra Stati Uniti e talebani, Washington ha annunciato di aver iniziato la riduzione della sua presenza militare nel Paese, quel taglio da 12.000 a 8.600 soldati entro 135 giorni dalla firma dell’intesa deciso a Doha.

I primi movimenti nelle ultime ore hanno riguardato la base militare di Lashkar Gah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand, e un’altra base della provincia orientale di Herat.

In base all’accordo raggiunto in Qatar, entro metà luglio verranno chiuse 20 basi, con il ritiro americano che dovrà essere completato entro 14 mesi. Questo nonostante la situazione sul terreno resti quanto mai tesa. La base di Lashkar Gah, in particolare, si trova nella provincia di Helmand che è una delle più travagliate insieme a quella meridionale di Kandahar, entrambe roccaforti dei talebani, dove le truppe americane e britanniche negli anni passati hanno combattuto battaglie feroci e subito diverse perdite. Sono 2.400 in totale i soldati americani morti in Afghanistan.

Ma la decisione americana di avviare il ritiro delle truppe arriva anche mentre a Kabul è in corso un vero e proprio braccio di ferro politico dopo le recenti elezioni, all’indomani della cerimonia di insediamento del presidente Ashraf Ghani a cui il rivale Abdullah Abdullah ha a sua volta risposto autoproclamandosi presidente.

Un caos istituzionale, insomma, che rende quanto mai incerto il futuro dei negoziati tra Kabul e talebani. Non a caso il segretario americano Mike Pompeo nelle ultime ore ha lanciato un monito affinché nessuna delle parti pensi di ricorrere all’uso della forza per risolvere le controversie. E un appello perché si arrivi alla formazione di un governo inclusivo di unità nazionale.

Resta poi da sciogliere il nodo del rilascio di 5.000 prigionieri talebani da parte di Kabul, una delle condizioni poste dall’accordo di Doha per avviare il dialogo. Ghani fino ad oggi è apparso riluttante anche se nelle ultime ore sembra si sia aperto uno spiraglio per la liberazione di almeno 1.000 detenuti.

Intanto Sonny Leggett, il portavoce delle forze militari Usa in Afghanistan, ha ribadito che dei 13.000 soldati americani presenti nel Paese 8.000 svolgono un ruolo di addestramento e di formazione delle truppe di sicurezza nazionale locali mentre altri 5.000 sono impiegati per operazioni anti terrorismo.

E queste ultime verranno mantenute. Mentre Washington ha chiesto all’Onu un voto in Consiglio di sicurezza per approvare tramite una risoluzione l’accordo di Doha.

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