Le calze rotte

Il duro lavoro senza sosta ricompensa l'immigrato

L’auto lussuosa ultimo modello attraversa il cancello dell’aeroporto metropolitano situato di fronte al parco dove abbondano gli alberi di mango e gli alti pioppi dai fusti levigati. Gli agenti della Guardia Nazionale che vigilano attenti l’ingresso non osano arrestare la sua marcia verso la destinazione, che è quella di sempre. Non c’è bisogno. Conoscono bene l’elegante passeggero che alla stessa ora dei cinque giorni feriali, ogni settimana, seduto distintamente nel sedile posteriore del Mercedes scuro, entra per recarsi nell’hangar dove lo attendono il capitano, il copilota e una bella hostess, tutti con la stessa buona intenzione di rendergli piacevoli le poche o molte ore di volo, a seconda del caso.

– Buongiorno, don Umberto.

– Buongiorno, amici – risponde lui con la gentilezza di sempre e quel dolce eterno sorriso fisso sulle labbra dal colore rosso intenso. – Che tempo si prevede oggi?

– Eccellente – risponde il capitano Ramírez che da cinque anni lavora per lui, accumulando record di voli senza difficoltà alcuna: né grande né piccola. – Cielo sereno e venti moderati lungo tutto il tragitto. Avremo appena qualche piccola turbolenza sulle cime della Cordillera Blanca[1]. Ma, come lei sa, da quelle parti è normale. In cinque ore atterreremo nella pista di Santiago[2]. A proposito, ci hanno appena comunicato che l’incontro con il Ministro sarà nella Sala Protocollare dell’aeroporto perché deve viaggiare d’urgenza al Sud, nella bellissima regione de Los Lagos[3], e così ha deciso d’incontrarla lì per proseguire poi il suo viaggio.

Umberto è titolare di un’industria alimentare tra le più grandi dell’America Latina. Importa materie prime dall’Europa e dagli Stati Uniti ed esporta i prodotti finiti da Bogotà, Colombia, fino alle Terre del Fuoco in Patagonia. Fabbrica di tutto: pasta, passata di pomodoro, birre, farina di mais, ecc. Insomma, un piccolo impero basato su due solidi principi: l’amore per il lavoro ereditato dal padre immigrato, ed una visione progressista delle cose che lo spingono ad assumere le più avanzate tecniche e gli uomini più capaci per garantire la competitività di tutti i suoi prodotti.

Ah, il padre. Uomo vigoroso morto in piedi come gli alberi di Casona[4] il grande. Era arrivato in Venezuela nell’ottobre del ‘46, a pochi mesi dal referendum che sancì la nascita della Repubblica italiana. Non sopportava più la sua Matera natia dove la terra avara predilige le pietre ai terreni fertili. Perciò, un giorno, davanti alla moglie e ai figli, senza i preamboli che solitamente preludono le notizie infauste, dice loro con fermezza:

– È tutto pronto. La settimana prossima parto in cerca di fortuna in una terra lontana e quasi sconosciuta. Guardate, è lì la mia valigia di cartone. Sufficiente per contenere i quattro stracci vecchi che mi porto, ma piccola per racchiudere la profonda tristezza che mi invade. Non so cosa mi riserverà la vita, se una sorte triste o piacevole. Sappiate, in ogni caso, che se sarà un trionfo lo attribuirò solo al vigore che mi produrrà il ricordo dei vostri volti malinconici, così come li fisso ora, e che per sempre conserverò nel mio cuore addolorato. Se fallirò, invece, nessuno si dovrà sentire in colpa: sarò io l’unico responsabile di questa decisione obbligata dalla quale, ahimè, è ormai impossibile fare marcia indietro.

Il duro lavoro senza sosta ricompensa l’immigrato che, in meno di sette anni, riunisce la famiglia nella nuova patria sempre pervasa dal sole e avvolta in un profumo soave di rose, violette, gigli tropicali ed orchidee di montagna. Dapprima, trasforma in un giardino seminato di verdure un terreno incolto che non ha padrone e del quale si appropria piantandovi venti stecche intorno come gli avevano detto di fare, in cambio di una manciata di monete, alcuni funzionari dello Stato. Poi, apre una bottega dove vende i frutti del suo orto, ma anche prodotti secchi ed altro che aggiunge con il tempo. Così, in pochi anni, ingrandisce il suo negozio e lo trasforma in un emporio di prelibatezze. Giuliano, il primogenito, aiuta il padre finché non compie il suo, da sempre, agognato desiderio: quello di commerciare motociclette da corsa ed auto sportive americane. Umberto, invece, pur proseguendo con massimo profitto i suoi studi di ingegneria, intuisce che il padre lo vuole al suo fianco per mandare avanti l’azienda realizzata dal nulla. Decide, così, di accontentarlo, però con le idee chiare nella sua mente progressista di volare molto in alto, fino a raggiungere il cielo sconfinato dove solo arrivano i pochi eletti che con i santi patteggiano il loro desiderio di grandezza. In questo modo, in poco meno di quindici anni, mantiene la promessa di costruire il suo impero, talmente enorme da far perdere di vista il numero di ciminiere che emettono fumo notte e giorno e la fila di capannoni al cui interno migliaia di persone si adoperano con frenetica risolutezza.

L’aereo, intanto, prosegue senza imprevisti la rotta delle Ande, mentre il passeggero solitario non si stanca di ammirare, da lassù, le bianche cime ricoperte di neve sempiterna. Ramírez, il pilota, sa della sua debolezza per quei paesaggi che sembrano quadri di pittori destri, per questo vola al filo della montagna tanto che Umberto, quel giorno, riesce a vedere un condor dal piumaggio delicato che fa piroette nel cielo luminoso come un ballerino quando vuole impressionare un pubblico di esperti. All’improvviso, però, la radio tuona nitida e severa spezzando quell’incanto che, per istanti, libera la sua mente tormentata, sempre presa dai numerosi impegni:

– Torre di controllo a Douglas YV 4-6-3.

– Avanti torre di controllo. Parla il comandante.

– Cattive notizie per don Umberto – dice una voce evidentemente triste. – Il signor Martino, il suo amato padre, è stato ricoverato in ospedale pochi istanti fa a causa di un infarto fulminante. È in terapia intensiva e i medici gli danno pochissime speranze.

Umberto rimane ammutolito. La lingua gli si blocca perché priva di saliva nella bocca amara e aspra. Con l’indice della mano leggermente alzata, fa un segno a forma di spirale con cui capisce Ramírez che bisogna fare marcia indietro per tornare a casa. Durante il lungo, interminabile viaggio, chiude gli occhi e rivede, come in una pellicola abbandonata in un baule antico, i primi anni duri quando il padre, lontano dalla patria, si brucia il dorso sotto il sole rovente, facendo scivolare dalla sua fronte pronunciata pesanti gocce di sudore salato. Ricorda, in particolare, come dettaglio rilevante, che quando uno zio, anche lui immigrato nella terra di Bolivar, torna a casa con la missione compiuta di aver racimolato il denaro sufficiente per avviare in paese qualche attività che gli permetta di vivere tranquillo, insieme ai giocattoli per i figli amati, consegna alla madre diverse paia di calze rotte avvolte in fogli di giornale. “Ti prego – le scriveva tra le altre cose in una lunga lettera di sette o otto pagine – di rifarmi i talloni delle calze e poi me le rimandi con qualche paesano. Sai, sono molto comode perché sono di lana e mi proteggono i piedi nell’orto dal terreno soffice”. Povero padre. Facile che qualche invidioso – pensa Umberto con le lacrime represse – dica adesso che questa ricchezza è stata accumulata con la storia comunista del sudore altrui. Che ne sanno loro! O meglio: dovrebbero sapere che si può uscire dalla miseria lavorando sodo e risparmiando anche sulle cose più semplici: come, ad esempio, riciclare i talloni delle calze rotte.

Davanti al feretro del padre generoso, don Umberto rimane immobile senza proferir parola. Osserva attentamente i segni del volto addormentato ed ha la sensazione di avvertire un ultimo messaggio: una goccia d’acqua che scivola lentamente dalla fronte rugosa come una tartaruga e bruciata fino al collo dal sole ardente di questo tropico severo, che però è anche prodigo quando si sa frugare nella sua essenza più profonda.


[1] È la catena montuosa più elevata del continente americano situata in Perù e com-presa nella parte settentrionale delle Ande. Prende il nome dai perenni ghiacciai che ricoprono le oltre 50 vette che superano i 5700 metri s.l.m.

[2] Capitale della Repubblica del Cile.

[3] La regione de Los Lagos (dei Laghi), nel sud del Cile, comprende l’isola di Chiloé (si legga ciloé) e il lago Llanquihue (si legga glianchihue), i più grandi del paese.

[4] Il riferimento è alla commedia Los árboles mueren de pie (Gli alberi muoiono in piedi) del drammaturgo spagnolo Alejandro (si legga Alehandro) Casona, tradotta in italiano da Gilberto Beccari.