C’è l’intesa con Mittal, piano green e 10.700 lavoratori

Operai all'entrata di Arcelor Mittal.
Operai all'entrata di Arcelor Mittal. (ANSA)

ROMA.  – Arriva la prima intesa sul futuro dell’ex Ilva: Arcelor Mittal non lascerà Taranto, almeno per ora, si impegna a raggiungere la piena produzione entro il 2025 e a tenere in azienda 10.700 dipendenti.

A due giorni dall’udienza di Milano sui ricorsi che, in caso di mancato accordo, avrebbe deciso il destino del sito siderurgico, i commissari dell’ex Ilva in amministrazione straordinaria e i vertici di Am Investco hanno firmato la tregua che consentirà agli stabilimenti di non chiudere. E che, dice il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, grazie anche “importante investimenti pubblici” consentirà il rilancio coniugando “rispetto per la salute e l’ambiente, tutela dell’occupazione e garanzia di concrete prospettive di competitività”.

Un accordo che trova contrarissimi i sindacati che lo bocciano definendolo “uno stallo” perchè rinvia molti nodi.

Ma, tolti di mezzo i ricorsi, grazie alla firma in extremis del pre-accordo, ora ripartirà la trattativa per valutare l’entità dell’impegno dello Stato (si è parlato di 2 miliardi), che dovrebbe entrare nel capitale di Am Investco attraverso Invitalia. La permanenza dei franco-indiani in Italia, però, è legata all’ingresso di nuovi soci, con lo Stato a fare da capofila: si tratterà di un “investimento significativo”, si legge in una nota dell’azienda, che aprirà la strada a una “nuova importante partnership”, sempre che si concluda entro il 30 novembre un nuovo Contratto di investimento.

Altrimenti i Mittal potranno recedere dal contratto di affitto, così come rivisto con i nuovi accordi, dandone comunicazione entro fine anno e restituendo gli impianti ai commissari, dopo aver pagato una “caparra penitenziale di 500 milioni”. Oltre alla “scappatoia” della penale, nel nuovo contratto sono state aggiunte altre clausole che potrebbero compromettere l’acquisto definitivo dei rami d’azienda, anticipato comunque dal 23 agosto 2023 al 31 maggio 2022. Oltre alla revoca “dei sequestri penali” negli impianti nel pre-accordo si vincola la chiusura dell’operazione alla modifica del Piano Ambientale, l’autorizzazione a portare la produzione a otto milioni di tonnellate l’anno e ad utilizzare “il rottame”, ma anche a un nuovo accordo coi sindacati.

Per accompagnare il piano, infatti, l’intesa cita esplicitamente la necessità di ricorrere a nuovi ammortizzatori sociali fino al raggiungimento della “piena capacità produttiva”, tenendo conto della Cig già in atto per 1.237 lavoratori, appena rinnovata per altre 13 settimane, e che scade a fine giugno 2020. “Nei fatti il pre-accordo prevede una fase di stallo da qui alla fine del 2020 per quanto riguarda le prospettive e l’esecuzione del piano industriale” con una netta e unitaria bocciatura del nuovo contratto che crea una situazione di “totale indeterminazione”.

Non si chiarisce, accusano Cgil, Cisl, Uil, Fiom, Fim e Uilm, né quale sarà il ruolo dello Stato e delle banche, né come sarà distribuito “il mix produttivo tra ciclo integrale e forni elettrici, il ruolo conseguente delle due società, la possibilità con questo piano di occupare i 10.700 lavoratori più i 1.800 in amministrazione straordinaria e i lavoratori delle aziende di appalto, che l’accordo del 6 settembre 2018 assicurava”. Per gli operai rimasti nell’ex Ilva il nuovo accordo parla di un impegno a ricollocarli anche “tenendo conto di altre possibili iniziative industriali attuate presso lo stabilimento di Taranto” da altri soggetti.

Accanto alla transizione green degli stabilimenti partecipati dallo Stato, con un taglio del 30% del carbone e una futura conversione, già predisposta, anche all’idrogeno, infatti, ci sarà una newco che farà il preridotto per alimentare il nuovo forno elettrico e poi saranno accelerate le opere di bonifica delle cosiddette ‘aree escluse’ sempre all’interno delsito di Taranto.

(di Silvia Gasparetto/ANSA)