Guerra a Idlib, Erdogan spinge i profughi in Europa

Bimbio siriani guardano l'orizzonte in un centro di rifugio a nord di Idlib, vicino la frontiera di Siria con Turchia.
Bimbio siriani guardano l'orizzonte in un centro di rifugio a nord di Idlib, vicino la frontiera di Siria con Turchia. (ANSA-AFP/ akr ALKASEM)

ISTANBUL.  – A piedi sul ciglio della strada oppure a bordo di taxi e autobus. Le donne con i bambini in braccio, sulle spalle dei più giovani uno zaino recuperato in fretta. Ora dopo ora, il flusso di rifugiati siriani in Turchia avanza con ogni mezzo possibile verso le frontiere con Grecia e Bulgaria. Un esodo scatenato all’improvviso dall’annuncio nella notte che le autorità di Ankara li avrebbero lasciati passare, come reazione a caldo e temporanea – si parla di 72 ore – per punire il mancato sostegno dell’Europa nella crisi in Siria, dove un raid aereo ha inflitto ieri sera all’esercito turco la più grave perdita dal suo ingresso nel 2016, uccidendo 33 militari a Idlib.

Il ricatto che per mesi è stato un mantra dei discorsi del presidente Recep Tayyip Erdogan si è trasformato in realtà dopo un Consiglio di sicurezza nazionale convocato d’urgenza. “Non c’è alcun cambiamento nella politica verso i migranti e richiedenti asilo”, giura ufficialmente Ankara, che in un colloquio ha rassicurato l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell.

Eppure, ha confermato ancora il governo turco, “di fatto, alcuni migranti e richiedenti asilo nel nostro Paese, preoccupati dagli sviluppi, hanno iniziato a muoversi verso i nostri confini occidentali. Se la situazione peggiora, il rischio continuerà a crescere”.

Un’ondata che la Grecia ha frenato sul nascere blindando le frontiere, mentre tornano a materializzarsi le scene delle frotte di disperati in cammino viste prima dell’accordo Ue-Turchia del marzo 2016. Atene ha chiuso stamani il valico di terra a Kastanies Evros, inviando rinforzi di polizia e sparando gas lacrimogeni. Le guardie di frontiera turche non lasciano passare i migranti attraverso il valico ufficiale di Pazarkule, ma neppure ne ostacolano il transito nelle aree rurali e lungo il fiume Evros, il confine naturale dove decine di migranti in questi anni sono morti annegati o assiderati.

Da Istanbul numerosi autobus sono partiti indisturbati per tutto il giorno verso il confine, distante 250 chilometri. Il muro alla frontiera terrestre si aggiunge ai tentativi della guardia costiera greca di frenare gli arrivi via mare sulle isole dell’Egeo, di cui si teme un’impennata nelle prossime ore.

Intanto sul terreno a Idlib la battaglia infuria. Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha rivendicato che la rappresaglia dell’esercito ha “neutralizzato” (cioè ucciso o ferito) 329 soldati del regime di Bashar al Assad e colpito oltre 200 obiettivi nemici. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i militari siriani uccisi sono invece 20 tra ieri e oggi. Ankara ha evitato in ogni modo di puntare il dito direttamente contro la Russia. Erdogan ha discusso stamani dell’escalation con Vladimir Putin. I due leader hanno espresso “seria preoccupazione per l’aumento della tensione” e “rimarcato la necessità di ulteriori misure per normalizzare la situazione”. Consultazioni bilaterali sono proseguite ad Ankara per il terzo giorno di fila. Ma per il leader turco resta urgente un faccia a faccia con il capo del Cremlino.

Preoccupate le reazioni da tutto il mondo. Erdogan ha avuto colloqui telefonici con diversi leader Nato, da Donald Trump ad Angela Merkel. L’obiettivo dichiarato è fermare “la tragedia umanitaria”, legata ai bombardamenti ma anche all’afflusso di un milione di profughi alla frontiera turca. Su richiesta di Ankara, l’Alleanza ha convocato il Consiglio del Nord Atlantico, esprimendole “condoglianze e piena solidarietà” e “condannando gli attacchi del regime siriano”.

Anche l’Ue sottolinea la necessità di una “de-escalation”. Ma la Turchia insiste per un appoggio che vada oltre le parole, chiedendo alla “comunità internazionale di imporre una no-fly zone”. Altrimenti, avverte, si rischia “una ripetizione dei genocidi del passato in Ruanda e Bosnia”.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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