Coronavirus: team di precarie cattura al Sacco il ceppo italiano

Coronavirus: una ricercatrice al lavoro nel laboratorio di Microbiologia Clinica, Virologia e Diagnostica delle Emergenze dell'ospedale Luigi Sacco di Milano.
Coronavirus: una ricercatrice al lavoro nel laboratorio di Microbiologia Clinica, Virologia e Diagnostica delle Emergenze dell'ospedale Luigi Sacco di Milano. ANSA / MATTEO BAZZI

MILANO. – Il ceppo italiano del coronavirus ora ha un volto. A un mese dall’isolamento del virus cinese allo Spallanzani di Roma ad opera di tre ricercatrici precarie, ancora una volta è una squadra di donne a raggiungere l’obiettivo.

Ci hanno lavorato nel laboratorio universitario dell’Ospedale Sacco di Milano, diretto dal professor Massimo Galli, la professoressa Claudia Balotta, le ricercatrici precarie, Alessia Lai, Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli, il collega polacco Maciej Tarkowski, anche lui precario, insieme al professore associato Gianguglielmo Zehender, esperto di igiene applicata.

In sei giorni e sei notti di lavoro hanno isolato il ceppo di tre pazienti italiani affetti dal virus che in pochi giorni ha sconvolto la vita degli italiani. “Siamo riusciti a isolare virus autoctoni – ha spiegato il professor Galli, direttore dell’Istituto di Scienze Biomediche dell’Università di Milano – molto simili tra loro, ma con le differenze legate allo sviluppo in ogni singolo paziente”.

Una scoperta che consentirà di “seguire le sequenze molecolari e tracciare ogni singolo virus per capire cos’è successo, come ha fatto a circolare e in quanto tempo” e soprattutto che cosa lo differenzia dal virus isolato alla Spallanzani. Il passo successivo sarà quello di studiare lo sviluppo di anticorpi e quindi di vaccini e di cure da parte dei laboratori farmaceutici.

“Il ceppo che abbiamo isolato – ha spiegato la professoressa Balotta – è di pazienti che si sono infettati in Italia e questo consente di studiarne le caratteristiche biologiche, l’infettività e la virulenza”.

In particolare con il sequenziamento molecolare sarà possibile “tracciarne il percorso nella popolazione italiana, per appurare se i due focolai siano effettivamente due o è uno solo, con la certezza non solo del dato anamnestico, relativo alla storia clinica del paziente, ma anche con lo studio sul genoma presente nei diversi pazienti”.

In qualche modo, aggiunge Balotta, sarà possibile “fare la datazione di ogni singolo virus per capire da quanto tempo circola in Italia”. Una scoperta dalle molteplici potenzialità in quanto l’Istituto di Scienze Biomediche è pronto a “isolare i virus di tutti i pazienti ricoverati” e a “collaborare con tutti coloro i quali ci chiederanno l’isolato” per trovare nuovi farmaci, oltre a quelli già sperimentati su Ebola e anche i possibili vaccini.

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