Scure S&P sulla crescita della Cina, Burberry’s chiude negozi

Il servizio sicurezza di un mall in Guangzhou, nella provincia di Guangdong controlla la temperatura a una cliente
Il servizio sicurezza di un mall in Guangzhou, nella provincia di Guangdong controlla la temperatura a una cliente. EPA/ALEX PLAVEVSKI

ROMA. – L’impatto del coronavirus sull’economia reale rischia di essere pesante: con gli economisti che tagliano le stime di crescita della Cina, aziende come Burberry’s e Toyota che riducono la presenza in Cina, e ripercussioni possibili a livello globale. L’esplosione del coronavirus riporta ai massimi l’incertezza sul 2020. Standard & Poor’s Global Ratings ha tagliato al 5% (dal 5,7%) le stime di crescita dell’economia cinese, in previsione di un impatto forte nel primo trimestre seguito da una ripresa.

Moody’s mette a rischio la crescita attesa al 5,8%, un tasso già bassissimo per la Cina, al netto di un probabile stimolo della Banca centrale. Ma alcuni economisti sono più drastici: Alberto Forchielli, partner fondatore di Mandarin, teme “una caduta del tasso di crescita 2020 di due punti percentuali” rispetto al circa 6% atteso in precedenza. Ma è anche convinto che, se la Cina riuscirà a contenere il virus nell’area di Wuhan, “l’impatto economico sarà molto severo, ma di breve durata: non si dovrebbe arrivare alla fine dell’anno”.

In Cina lo stop ai collegamenti aerei di decine di compagnie, il taglio al 15% dell’attività delle raffinerie in vista del fermo agli impianti produttivi (fra l’altro Wuhan è un’enorme area industriale), il caos sanitario e logistico hanno ripercussioni sui partner commerciali in una catena delle forniture globale iper-integrata: basti pensare a Fca, che ha avvertito del rischio di chiudere un impianto in Europa.

E poi c’è l’impatto, pesante, sui consumi dei cinesi: con una gelata al turismo, alla domanda di beni di lusso da parte dei cinesi che “promette conseguenze più durevoli di quelle sulla produzione industriale”, spiega Forchielli.

Dopo la chiusura integrale degli store di nomi come Apple e Ikea, Toyota ha appena annunciato la chiusura degli stabilimenti in Cina fino al 16 febbraio. Burberry’s vede “un effetto negativo sulla domanda di lusso” e annuncia operatività ridotta e la chiusura di 24 su 64 negozi in Cina continentale.

E si muove anche Airbnb, che consente di cancellare gratuitamente le prenotazioni se un viaggio è interessato dal nuovo focolaio di coronavirus, sia per la meta finale che per quella di partenza.

In molti s’interrogano su quale potrebbe essere l’impatto per l’economia globale: il precedente della Sars nel 2003 è di poco aiuto, perché allora la Cina rappresentava il 4% del Pil globale: oggi è il 16%, e vale un terzo della crescita globale. Quello che succede in Cina pesa molto di più.

Goldman Sachs ha stimato che il coronavirus potrebbe togliere fino a 0,4 punti percentuali di crescita al Pil statunitense nel primo trimestre. Altre stime dicono che un punto percentuale di crescita cinese in meno comporta oltre un decimale in meno di crescita in Germania, e mezzo decimale in Italia.

L’Istat, dopo il -0,3% del Pil nel terzo trimestre, spiega che l’indicatore anticipatore “ha mantenuto un orientamento negativo anche se con intensità più contenuta rispetto ai mesi precedenti”. “In termini diretti – direttore del dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, Roberto Monducci – siamo meno esposti con la Cina, ma in termini indiretti potremmo risentirne anche noi di eventuali problemi legati al virus”.

(di Domenico Conti) (ANSA)

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