ROMA. – Un altro rinvio, di un paio di settimane al massimo. Perché nonostante le esplicite volontà politiche l’accordo ancora non c’è. Resta appeso al filo della trattativa tra governo e Arcelor Mittal il destino dell’ex Ilva di Taranto. Trattativa che sta proseguendo a oltranza ma ancora non ha portato a una intesa sui dettagli e, soprattutto, non ha ancora superato lo scoglio degli esuberi.
Si va avanti a piccoli tappe, in un percorso che rimane ancora molto difficile, tanto che i più pessimisti temono che alla fine saranno i giudici a doversi esprimere, anche perché, ancora in queste ultime ore, il negoziato avrebbe fatto qualche passo avanti ma anche diversi passi indietro. E l’azienda resterebbe ferma sui 3mila esuberi strutturali indigeribili per il governo, prima ancora che per i sindacati. Il nodo è anche quello delle risorse che saranno previste dal nuovo piano industriale, al quale gli esuberi – inutile dirlo – sono strettamente legati.
Ma ufficialmente le parti continuano a ostentare ottimismo: il premier, Giuseppe Conte, si è detto fiducioso dopo l’incontro a Londra che anche i vertici del colosso dell’acciaio hanno definito positivo. “Ci sono stati dei progressi e confidiamo che si possano fare ulteriori passi avanti” ha detto Aditya Mittal, presidente e direttore finanziario di Am, parlando agli analista durante la presentazione dei conti. Il gruppo ha chiuso il 2019 con un rosso di 2,5 miliardi di dollari ma un Ebitda di 925 milioni di dollari, migliore delle stime, e prospettive di miglioramento per il 2020 che sono piaciute ai mercati (il titolo ha toccato anche un rialzo dell’11% sui listini di Parigi, Madrid e Amsterdam). I segnali di “rallentamento della domanda che inizia a stabilizzarsi”, con l’attesa di un “aumento nei mercati core”, indicati nella confernce call potrebbero giovare anche alla partita che si gioca in Italia.
Dopo settimane di trattative serrate tra i negoziatori del governo e il team di legali dell’azienda, Arcelor Mittal e i commissari dell’ex Ilva si starebbero avvicinando ad un accordo di massima per arrivare a stilare un nuovo contratto di affitto e acquisizione degli stabilimenti. Ma i nodi non sono ancora sciolti e per stabilire i dettagli servirà ancora tempo, tempo che domani le parti dovrebbero chiedere al giudice di Milano Claudio Marangoni.
In tribunale pendono infatti i due ricorsi, quello dell’azienda che ha ufficializzato l’intenzione di ecedere dal contratto e quello d’urgenza dei commissari per bloccare l’addio all’Italia della multinazionale. Ma nell’udienza di domani non ci dovrebbe essere né la discussione della causa né alcuno scontro in aula tra le parti, ma la richiesta di altro tempo, due, tre settimane al massimo, per mettere a posto l’intesa.
Non ci sarà, quindi, un nuovo pre-accordo, dopo l’ “heads agreement” firmato lo scorso 20 dicembre, in Tribunale, prima dell’udienza, l’ad di Arcelor Italia Lucia Morselli e i tre commissari dell’ex Ilva, Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo, perché le parti vorrebbero arrivare direttamente a chiudere e formalizzare un accordo definitivo. Nel frattempo, i legali si scambieranno dei testi ‘interni’, che rimarranno tra loro, sui punti in discussione per arrivare ad un nuovo piano industriale in vista del rilancio del polo siderurgico con base a Taranto.
Piano che, sulla base di quel protocollo di intesa e passando, appunto, attraverso la ristrutturazione del vecchio contratto tra gli indiani. Viene dato per scontato l’ingresso nella società anche di Invitalia – un passaggio obbligato sarebbe una ricapitalizzazione della società per avviare l’investimento sullo schema seguito per la Popolare di Bari – e la trasformazione dei crediti di IntesaSanPaolo in una partecipazione nella società che gestisce l’impianto.
L’amministrazione straordinaria, vedrebbe anche la creazione di una “newco” e punterebbe sulla “tecnologia verde”. Per la decarbonizzazione, ha ribadito peraltro il premier, il governo sta puntando anche sull’uso delle risorse del nuovo Just Transition Fund europeo.
(di Silvia Gasparetto/ANSA)