In Emilia-Romagna si chiude una campagna elettorale ai veleni

Matteo Salvini con Lucia Borgonzoni.
Matteo Salvini con Lucia Borgonzoni. ANSA/GIORGIO BENVENUTI

BOLOGNA. – Piazze contese per i comizi, accuse di sessismo e di scorrettezze verso gli amministratori locali, citofonate che fanno irritare governi stranieri e post social al vetriolo perfino su cani e gattini. Con la pressione di un voto praticamente nazionale sulle spalle, la campagna elettorale per eleggere il nuovo presidente dell’Emilia-Romagna non è stata condita solo di botta e risposta su temi elettorali ma anche di bordate e veleni tra gli schieramenti politici.

Tra le ultime fiammate spicca il caso Jolanda di Savoia. È un comune del Ferrarese di nemmeno tremila abitanti diventato protagonista di una polemica su presunte pressioni da parte del governatore uscente Stefano Bonaccini, dem ricandidato al bis.

Contro di lui un esposto del sindaco di Jolanda, Paolo Pezzolato, secondo il quale dopo la decisione della vicesindaca Elisa Trombin di appoggiare la candidata leghista Lucia Borgonzoni alle elezioni regionali, il governatore in carica avrebbe fatto pressioni perché tre Comuni limitrofi rifiutassero di condividere con Jolanda di Savoia alcuni dipendenti. Pezzolato sventola una conversazione registrata da cui desume le pressioni ma poi non ne diffonde l’audio.

Nel frattempo, dopo l’esposto, la Procura di Bologna per prassi ha aperto un fascicolo conoscitivo, senza indagati né ipotesi di reato. Una vicenda che ha irritato non poco Bonaccini, “non sporchino la mia onestà”, mentre Matteo Salvini invoca l’intervento di magistratura e governo.

Ferrara, storica roccaforte del centrosinistra conquistata dalla Lega alle ultime comunali, al centro di un altro scontro. È finita sotto i riflettori una registrazione in cui il vicecapogruppo locale del Carroccio, Stefano Solaroli, avrebbe proposto un posto di lavoro a un’altra consigliera leghista nel frattempo uscita dal partito.

Il “modello Ferrara” contro cui si sono scagliati centrosinistra e pentastellati, col candidato M5s Simone Benini che lo ha definito inquietante. Una vicenda che ha costretto Borgonzoni ed entourage di centrodestra a prendere le distanze da Solaroli che si è autosospeso dal partito.

Nel giorno dell’endorsement di un ‘simbolo’ come Sinisa Mihajlovic alla Lega – col mister che ha diviso i tifosi, scatenato gli ‘hater’ online e che alla fine è stato difeso pure dalle Sardine – la narrazione del dibattito elettorale è stata surclassata da un caso quasi da crisi diplomatica internazionale.

È la citofonata di Matteo Salvini nel quartiere bolognese del Pilastro a una famiglia di origine tunisina, alla ricerca di un presunto spacciatore. Trovata per la quale il leader della Lega è stato apostrofato come razzista dal vicepresidente del Parlamento di Tunisi. Sulla stessa scia un’altra diretta Facebook di Salvini che invece a Modena ha puntato il dito sul civico di un negozio presunto luogo di spaccio.

“Squallido” per Bonaccini. Mentre il leader Pd Nicola Zingaretti ha equiparato Salvini a “un untore” di paura. Tra un casus belli e l’altro una serie interminabile di post e frecciate al vetriolo tra Borgonzoni e Bonaccini.

Col governatore uscente che ha replicato alla gaffe sui confini della regione (Trentino Alto Adige, disse la senatrice) con la mappa e le bandierine di tutti i comuni battuti palmo a palmo in 5 anni di governo. Lei che più volte si è definita vittima di sessismo, lui che le ha contestato la sovraesposizione mediatica del leader Salvini e di post con cani e gattini.

A entrare nello scontro pure le Sardine, protagoniste con la Lega di un braccio di ferro durato giorni per manifestare nella piazza principale di Bibbiano, quella davanti al Municipio simbolo dell’inchiesta reggiana sui presunti affidi illeciti. Alla fine le Sardine si accontentano di una piazza adiacente per il flashmob di giovedì sera, ma poi schiacciano quella leghista in quanto a presenze.

Nessuna pace però per il Movimento fondato da quattro ragazzi bolognesi per contrastare la “retorica” leghista. Il placet dell’investitore multimiliardario George Soros da Davos ha dato il la a Giorgia Meloni per tacciarle non solo di “Pd mascherato” ma anche di figli di “poteri finanziari”.

(di Stefania Passarella/ANSA)

 

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