Ora cresce l’asse Conte e governisti 5S. Incognita regionali

Il Primo Ministro, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
L'allora Primo Ministro, Giuseppe Conte, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. (ANSA)

ROMA. – Se davvero il passo indietro di Luigi Di Maio dalla guida del Movimento 5 Stelle preluderà a un rafforzamento dell’ala pentastellata governista e “riformista” (pro Pd), la navigazione dell’esecutivo potrebbe farsi un po’ più tranquilla. E’ per ora solo un auspicio: rimbalza tra i Dem, dentro Leu e anche tra i “contiani” M5s, mentre Di Maio formalizza le sue dimissioni.

Giuseppe Conte si ostina a ripetere che ripercussioni sull’esecutivo e sugli equilibri della sua squadra non ce ne saranno, né per la scelta di Di Maio, né per il risultato delle regionali di domenica in Calabria e, soprattutto, Emilia Romagna.

Ma proprio la vittoria o la sconfitta, temuta, di Stefano Bonaccini, può fare la differenza e “squassare” il governo. Perché è vero che né il M5s né gran parte degli alleati vogliono le elezioni, ma una sconfitta Dem nella regione potrebbe avere un effetto valanga.

“Non farò come Renzi”, assicura ai pentastellati Di Maio, mentre lima il discorso delle dimissioni. E’ la promessa di non picconare il governo, ora che ha le mani più libere. E da Iv, dopo aver accolto con un gelido silenzio la scelta del capo M5s, rispondono per le rime: “Che Di Maio non sia come Renzi lo sappiamo bene, basta vedere l’autorevolezza in politica estera”.

Al di là di parole che tradiscono rapporti assai tesi, sarà la scelta del nuovo capo delegazione del M5s al governo a fare probabilmente la differenza. Vito Crimi annuncia che non sarà più Di Maio, cogliendo di sorpresa chi tra gli alleati era stato invece informato che per il governo non sarebbe cambiato nulla.

Il successore potrebbe essere Stefano Patuanelli, molto stimato dal gruppo M5s al Senato e vicino a Conte, nonché apripista di quella corrente M5s che guarda a un’alleanza stabile col Pd. Ma c’è chi spinge perché la scelta ricada su Alfonso Bonafede, più vicino a Di Maio e all’ortodossia M5s.

Comunque vada, osserva un dirigente Pd, oggi il Movimento è un po’ più “governista”: lo testimonia il passaggio del discorso in cui il ministro degli Esteri dice basta al no preventivo alle grandi opere. Di più, aggiungono i Dem: pian piano l’asse è destinato a spostarsi un po’ di più dove vogliono Grillo e Conte, verso un’alleanza politica con il Pd, in un campo progressista da contrapporre alla destra salviniana (con il Pd, dice Zingaretti, centrale).

In più nei prossimi mesi dovranno farsi centinaia di nomine nelle aziende pubbliche e arriverà il taglio dei parlamentari: due collanti fortissimi per la tenuta del governo.

Le incognite sono però ancora tante. E proprio le regionali in Emilia Romagna sono destinate a fare da detonatore per gli equilibri della maggioranza. Sul risultato serpeggiano timori, al di là delle dichiarazioni: la scelta di Di Maio trasmette sul Pd un’immagine di debolezza o al contrario spinge il voto utile? ci si chiede.

A Palazzo Chigi sono convinti che comunque vada, ci sono i margini per rimettersi in marcia e chiudere entro febbraio la verifica di governo. Ma non solo Zingaretti e Di Maio (per la scelta di non correre col Pd) ma proprio Conte, in caso di sconfitta, potrebbe finire nel mirino.

Tra i rumors parlamentari che riprendono a circolare c’è quello di un tentativo di chi vede il premier come un avversario politico interno temibile per il futuro, con un altro presidente del Consiglio, magari Dario Franceschini. Ma i più negano e bollano l’operazione come “fantascienza”.

Di sicuro c’è che nelle prossime settimane ci saranno da affrontare nuovi sommovimenti nei gruppi M5s (Salvini, se vincesse a Bologna, potrebbe intensificare la “campagna acquisti”) e una possibile apertura di congresso Pd. Ma ancora più sicuro è che si avvicina il momento della decisione sulla revoca della concessione ad Autostrade (Di Maio non demorde, Renzi non cede) e martedì in Aula alla Camera si voterà la proposta di Fi sulla prescrizione.

Fino all’ultimo Conte cercherà una sintesi, ma Iv è determinata ad andare fino in fondo e votare con Forza Italia, contro la maggioranza. Come reagirà il Movimento? Per difendere la riforma della prescrizione Di Maio ha detto di essere pronto a “scendere in piazza”. Gli alleati hanno annotato.

(di Serenella Mattera/ANSA)