Haftar attacca lo scalo di Tripoli, la tregua traballa

razzi lanciato dall'esercito nazionale libico che comanda il generale Khalifa a Tripoli,
Una immagine satellitale fornita da Maxar, mostra l'aeroporto di Mitiga dopo un attacco con razzi lanciato dall'esercito nazionale libico che comanda il generale Khalifa a Tripoli,( ANSA-AP)

IL CAIRO. – La tregua in Libia è sempre più fragile. Nonostante un appello del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ad attuare le conclusioni della conferenza di Berlino, il generale Khalifa Haftar ha violato il cessate il fuoco, già traballante, facendo sparare razzi Grad sull’aeroporto internazionale di Tripoli, abbattendo un drone turco che era appena decollato dallo scalo e dichiarando una nuova no-fly-zone su tutta la capitale.

L’uomo forte della Cirenaica, continua così a mostrare i muscoli e, ignorando gli appelli internazionali, non sembra intenzionato neanche a sbloccare il petrolio, con i terminal che restano serrati rischiando di azzerare la produzione libica di greggio, linfa vitale per il Paese.

A colpire lo scalo, l’unico aperto a intermittenza nella capitale libica, sono stati sei razzi di tipo “Grad” che hanno provocato la chiusura dell’aeroporto per oltre un’ora. Lo scalo, un’ex-base militare quasi in centro città, è adibito al traffico civile da quando nel 2014 quello internazionale, 25 km a sud, fu gravemente danneggiato dalla guerra civile.

Una mossa che il portavoce delle forze del generale, Ahmed al-Mismari, ha giustificato con i timori che lo scalo venga utilizzato per far affluire armi e uomini a Tripoli sotto la supervisione dei servizi segreti turchi. Il “drone turco” abbattuto subito dopo il decollo proprio da Mitiga “tentava di attaccare nostre unità militari a Tripoli”, ha sostenuto Mismari che poi – come già fatto peraltro senza conseguenze l’8 gennaio – ha annunciato l’imposizione di un nuovo “embargo” sui cieli della capitale, dove “qualsiasi aereo” diventa ora “un obiettivo”.

Resta quindi altissima la tensione sul terreno nonostante Guterres abbia esortato i protagonisti della crisi in Libia ad accettare “pienamente le conclusioni del vertice di Berlino” ricordando che “serve un cessate il fuoco completo” per poi procedere ad “un vero processo politico”. Un obiettivo, ribadito dalla comunità internazionale domenica scorsa al vertice nella capitale tedesca, per cercare una soluzione ad una crisi che vede da nove mesi l’assedio di Tripoli da parte di Haftar all’ombra del rischio di una guerra civile che striscia e divampa ormai dal 2011, quando cadde e fu linciato il leader libico Muammar Gheddafi.

Un conflitto in cui sono in gioco enormi giacimenti petroliferi che Haftar ha da mesi sotto il proprio controllo e, dalla settimana scorsa, sta spingendo verso il blocco della produzione attraverso la sospensione dell’export da cinque porti sul Golfo della Sirte, tra cui quelli di Sidra e Ras Lanuf. Con la chiusura di valvole in una stazione di pompaggio, il generale è riuscito a far sospendere o almeno ridurre drasticamente la produzione in tre giacimenti (Sharara, il maggiore di Libia, El Feel, in cui opera anche l’Eni, e Hamada).

Dopo gli Usa, anche la Gran Bretagna attraverso la sua ambasciata si è appellata a una ripresa delle operazioni di estrazione che, in pochi giorni, potrebbero quasi azzerare la produzione da 1,2 milioni di barili a 72 mila con perdite stimate dalla Compagnia petrolífera nazionale in 77 milioni di dollari al giorno.

(di Rodolfo Calò/ANSA)

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