Il “Petro”, la bizzarra moneta venezuelana

CARACAS. – Due anni dopo il suo lancio, il “Petro”, la moneta virtuale che il governo del Venezuela vuole imporre come valuta forte nel paese (dopo la immisericorde svalutazione del bolívar degli ultimi anni) è ben lontano da raggiungere il suo scopo, a giudicare dai risultati ottenuti fino ad oggi.

Definito dalle autorità monetarie come una “cripto-moneta” e pubblicizzato come il “primo cripto-attivo emesso e avallato da uno Stato Sovrano”, il “Petro”, secondo gli esperti, non possiede le caratteristiche per essere considerato tale. Reputano che, tutt’al più, potrebbe essere una “unità contabile”. Per alcuni, appena un “simbolo”, non certo una moneta. C’è anche chi ritiene che, nella realtà, “non esiste”.

Un guazzabuglio di Natale

Certo, gli ultimi avvenimenti non hanno giovato alla sua credibilità. Anzi, le perplessità si sono moltiplicate. Fatto sta che a fine dello scorso anno, il governo assegnò un “bonus” in Petro che i beneficiari poterono cambiare in bolívares nel portale web del “Petro” e trasferire il denaro ad un conto corrente personale. Cosa che tutti si affrettarono a fare, visto l’accelerazione dell’inflazione che, nel 2019, fu del 7.300%. Poche settimane dopo, il governo depositò un altro “bonus” di “mezzo Petro” ai pensionati. Questa volta, però, non poteva essere trasformato in bolívares. Gli interessati, comunque, potevano partecipare ad una “asta” virtuale, attraverso il portale del “Petro”. Pare che non ebbe successo. E alla fine, voci di corridoio e presunte testimonianze raccontati da terze persone contribuirono a renderlo un “mito”.

I beneficiari del “bonus” in “Petro”, comunque, potevano spenderlo acquistando prodotti e mercanzie nei 5.000 negozi adibiti a ricevere la cripto-moneta attraverso un sistema “bio-pago” che garantiva ai commercianti la permuta a bolívares. Le file interminabili di consumatori alle porte di questi negozi alimentarono il malessere ed il disagio tra la gente. Tutto si complicò ancor di più, poiché la diffusione di questi “bonus” provocarono un incremento nel costo della valuta americana di circa un 45%. Conseguenza inevitabile, la pressione sui prezzi e l’impennata dell’inflazione con un aumento del malcontento generale.

Dopo sette giorni, il governo mise fine all’operazione. Si giustificò sostenendo che era dovuto alla necessaria manutenzione del sistema del biopago. E assicurò che oltre 6 milioni di persone, su un totale di 8 milioni, aveva fatto uso del “Petro”. Chiuso l’imbarazzante episodio, il governo annunciò che non avrebbe più permesso ai commercianti di permutare i “Petro” in bolívares. Così, milioni di venezuelani e migliaia di commercianti restarono con un pugno di mosche, al non sapere come trasformare i “Petro” in denaro reale.

Da cripto-moneta a unità contabile

La storia del “Petro” è costellata di dubbi, confusione e malintesi fin dall’inizio,  il dicembre del 2017. Al principio, il presidente Nicolas Maduro presentò il “Petro” come una cripto-moneta simile al bitcoin. L’unica differenza era il suo legame alle riserve petrolifere del paese ed il prezzo ancorato al valore del barile di grezzo. Quindi, in contraddizione con le caratteristiche di le cripto-moneta esistenti che si vendono ed acquistano all’interno di una rete di computer, basata in un “blockchain”. Questa non è altro che il registro delle transazioni, il cui prezzo viene fissato dalla compra-vendita dei privati, spiega l’ingegnere Luis Gilberto Caraballo, esperto nel tema.

“Il ‘Petro’ ha un problema di definizione con ciò che corrisponde a un ‘cripto-attivo’. Questo si basa nella fiducia di chi compra e vende. Quando invece si basa su un mercato che non è di transazioni tra consumatori, come il petrolio o le commodity, si falsa il concetto. La differenza è molto importante – aggiunge il “Ceo” del “Blockchain Hub Venezuela” -. L’altro punto è – precisa – la validazione delle operazioni delle cripto-monete blockchain. Queste si realizzano in distinti modi. E impiegano algoritmi di consenso che permettono di sapere quando le operazioni che si registrano sono credibili e trasparenti. Sono gli utenti che comprano e vendono i cripto-attivi che danno fiducia a questa moneta”.

Nella tappa iniziale il “Petro” fu disegnato per “correre” sulla rete Eterea. Poi venne realizzato un whitepaper per usare la architettura base della rete NEM e finalmente fu creato un blockchain privato. Mentre avvenivano tutte queste mutazioni, il capo di Stato annunciava la creazione di “fattorie” per dare spinta all’iniziativa. Poi il decreto riservando la “miniere” del Petro allo Stato.

Ora, precisa Caraballo, “Per il ‘Petro’ non ci sono confermazioni. Insomma, è come se fosse in cassaforte dalla quale si estrae una certa quantità da introdurre nel mercato. Non è un bitcoin”.

Nell’agosto del 2018, l’esecutivo decretò il “Petro” come seconda unità contabile della nazione. E le aziende cominciarono ad essere obbligate ad usarla come strumento di calcolo per pagare le tasse e servizi pubblici dalle aziende.

“La faccenda va avanti e indietro creando molti dubbi su cosa sia realmente il “Petro” – osserva l’ingegnere e professore universitario Caraballo -. Si ha l’impressione di essere di fronte a uno stratagemma; ad un sotterfugio”.

Il governo ha assegnato al “Petro” un valore di 60 dollari equivalente a un barile di petrolio, anche se il suo prezzo dovrebbe calcolarsi sulla base del costo del greggio (50%), oro (20%) ferro (20%) e diamanti (10%), secondo l’ultimo “White paper”. Cosa che evidentemente non accede.

Essere o non essere

L’economista Asdrubal Oliveros considera “il Petro una unità contabile equivalente al bolívares” e allo stesso tempo “una maniera di procedere ad una riconversione monetaria meno costosa che quella di togliere zeri alla moneta e dover stampare banconote nuove come avvenuto in passato.

Per il suo collega Luis Vicente León “il ‘Petro’ non è realmente una moneta o una cripto-moneta, ma un meccanismo simbolico; uno strumento contabile per l’economia che ha perso un suo referente. Il bolívar ha perso tutte le sue funzioni: di intercambio, di riserva e, soprattutto, di misura di conto. Se lo usasse il regime, perderebbe la sua capacità di riscuotete le tasse “. (Un bolívar vale oggi 0,0000125 dollari).

Con il Petro- prosegue- il governo “cerca di collegarsi ad un meccanismo internazionale come il dollaro. Nel fondo, cos’è un Petro? É un valore di riferimento del dollaro o il prezzo del petrolio in dollari. Insomma, il paese collega l’economia a una moneta straniera perché ha perso la propria”.

“’É il “Petro” una unità contabile, un cripto-moneta, un ricatto, una truffa o una nuova moneta che il regime vuole imporre? Credo che sia una combinazione di tutto ciò. Il ‘Petro’ è illegale e alla fine è qualcosa che non esiste perché nessuno ce l’ha”, afferma dal canto suo l’economista Luis Oliveros.

C’è ma non si vede

In svariate occasioni, Maduro ha annunciato l’emissione del “Petro” per migliaia di milioni di dollari. Non sono mancate nemmeno “giornate speciali di vendita” del Petro con spot televisivi nei quali i ministri dichiarano di averli comprati. Ma di queste transazioni non ci sono evidenze.

“Loro (le autorità) hanno pubblicazioni del volume di ‘Petro’ che sarà collocato nel mercato. Ma ci sono molti dubbi. Esiste una versione ufficiale ed altre ufficiose, ma nulla di concreto. Non esiste un registro credibile”, asserisce Caratalo.

Ragiona:

“Puoi dire: ‘ho realizzato una emissione’. Ma se realmente ci fosse un mercato, come loro dicono, dovrebbero esistere operazioni di compra-vendita. Sappiamo che con è così. Lo abbiamo visto con ‘il mezzo Petro’ dato ai pensionati a dicembre sotto forma di ‘bonus’. Tutti si lamentavano perché nessuno voleva acquistarlo”.

Secondo l’esperto, il “Petro” è privo di “credibilità” per cui “nessuno lo acquista.  Sono convinti che è un espediente,  per emettere altro debito pubblico.”

“Non c’è maniera di farlo accettare. La gente non vuole bolívares, figuriamoci  ‘Petro’”, commenta a sua volta Luis Oliveros.

A livello internazionale il Petro si è scontrato con le sanzioni degli Stati Uniti che ne ha proibito l’uso, e con le debolezze legate alla recessione economica.

“I mercati rispondono a regole economiche, realtà commerciali, fiducia. Le reti internazionali sono molto severe su quello che chiamano ‘conosci il tuo cliente’. C’è un iter da seguire affinché la legalità delle operazioni sia verificata. Ciò ha messo piombo sulle ali del Petro, per la sua opacità” aggiunge Caraballo.

A tutti i costi

Nonostante le peripezie e disavventure vissute dal Petro sia dentro sia fuori il Venezuela, Maduro non demorde. Ora ordina il suo uso per la vendita del carburante alle compagnie aeree, per il pagamento dei dazi doganali, delle tasse aeroportuali, dei passaporti e di altre procedure burocratiche. L’ultima decisione, l’apertura di un casinò con “Petro” in un albergo di lusso a Caracas. Ma non finisce qua. Promette nuove sperimentazioni.

“Ogni mese proverò qualcosa con il ‘Petro’ per proteggere alla famiglia, i lavoratori, le casalinghe, gli imprenditori…e per continuare così a costruire un potente ecosistema”.

La storia del “Petro” è appena iniziata. Promette nuovi capitoli, da vera “telenovela”.

Roberto Romanelli