Davos: Pwc, aziende italiane più ottimiste sul futuro

Una composizione grafica sull'intelligenza artificiale.
Una composizione grafica allegorica all'intelligenza artificiale. (ANSA)

DAVOS. – Il nuovo decennio si apre con il 53% dei Ceo globali che prevede una riduzione della crescita economica nel 2020, e appena il 22% che prevede un’accelerazione. Un peggioramento delle prospettive di crescita a 12 mesi – un anno fa erano al 29% i “pessimisti” – presente ovunque, anche fra i top manager italiani. Ma le aziende italiane guardano al futuro con più fiducia rispetto alla media globale: il 90% dei ceo italiani è fiducioso su una crescita del fatturato nell’orizzonte di tre anni, contro l’84% di un anno fa e scavalcando l’85% dei ceo globali.

Sono alcuni dei dati che emergono dalla 23esima Ceo Survey, una ricerca di Pwc su circa 1.600 ceo in 83 Paesi del mondo, presentata oggi al World Economic Forum di Davos.

A 12 mesi, la percentuale dei ceo italiani fiduciosi su una crescita dei ricavi scende al 68% dal 70% di un anno fa. Un dato che, come quello globale (calato al 73% dall’82%) riflette una diminuzione di fiducia “abbastanza netta” sulla crescita 2020 ma che non sorprende –  spiega Alessandro Grandinetti, markets & clients leader di Pwc Italia – “se si considerano le incertezze relative alle tensioni commerciali e al contesto geopolitico”.

Allargando lo sguardo più in là, tuttavia, il quadro cambia. Se la fiducia sulla crescita del fatturato a tre anni è stabile per i ceo globali, quelli italiani registrano un balzo di cinque punti rispetto a un anno fa. “La notizia – spiega Nicola Anzivino, partner di Pwc Italia – è che il 90% dei ceo italiani intervistati hanno fiducia per le prospettive della loro azienda a tre anni. Le risposte ricevute sono confortanti, chiaramente evidenziano una significativa resilienza del tessuto produttivo italiano; siamo ancora industrialmente sani e capaci di affrontare le incertezze macroeconomiche attese per il 2020 e gli anni successivi, puntando a nuovi investimenti orientati soprattutto a digitalizzare gli ambienti produttivi e a rendere i nostri prodotti ad alto contenuto tecnologico”.

Investimenti in tecnologie, nel digitale, nella robotica, l’automazione e l’intelligenza artificiale con relativo “upskilling” del personale, che rappresentano uno dei temi centrali dell’agenda dei top manager. Non solo: la controtendenza dell’Italia è anche frutto di un riposizionamento specifico. Il 32% dei top manager italiani, secondo la Ceo Survey di Pwc, sta facendo fronte alle sfide orientando le strategie di crescita verso aree geografiche alternative, un livello più alto rispetto alla media globale del 26%. A valle di vari fattori, come la crisi dell’auto tedesca che si ripercuote su molte aziende specie al Nord Italia, “i ceo italiani stanno cercando di ridurre la propria dipendenza industriale dai partner europei guardando anche ad altre aree del mondo”, spiega Anzivino. in molti (40% dal 28% di un anno fa) guardano a un percorso di crescita internazionale con alleanze strategiche o joint ventures.

Fra sfide come la carenza di competenze chiave, la sicurezza informatica, il cambiamento climatico, “la vocazione internazionale delle aziende italiane continua, e sarà sempre più un elemento distintivo del valore della produzione e ricavi e del loro valore aggiunto”, spiega Grandinetti. Anche per le aziende medio-piccole: “ci mettono di più a percepire il tema, ma sono più agili e veloci nel decidere. La mia scommessa è che anche qui le aziende italiane riusciranno a muoversi in modo molto forte”.

(di Domenico Conti/ANSA)