Raggiunte le firme, ci sarà referendum sul taglio degli eletti

Referendum. L'aula di Montecitorio
Referendum: l'aula di Montecitorio durante l'evento 'Lo Stato dei beni Comuni', Camera dei Deputati, Roma, 22 febbraio 2019. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

ROMA. – Saranno gli italiani a decidere direttamente, con il loro voto, se confermare o meno il taglio dei parlamentari approvato dalle Camere qualche mese fa. Al termine di 24 ore convulse, tra clamorose defezioni, adesioni dell’ultima ora e conseguenti polemiche politiche, alla fine il comitato promotore del referendum ha ottenuto il suo obiettivo: gli azzurri Andrea Cangini, Nazario Pagano e il dem Tommaso Nannicini hanno depositato alla Corte di Cassazione le 71 firme dei senatori sostenitori del quesito, sette oltre il minimo necessario come previsto dalla Costituzione.

Un referendum che secondo Matteo Salvini può avvicinare le elezioni. La richiesta è appoggiata da esponenti di tutti i gruppi presenti a Palazzo Madama, con la sola eccezione di quello di Fratelli d’Italia. “La nostra scelta di non firmare questo referendum – spiega la leader Fdi, Giorgia Meloni – è coerente con i nostri voti in Parlamento, sempre a favore della diminuzione dei parlamentari. Una posizione che confermeremo quando si dovesse celebrare il referendum, chiedendo agli italiani di votare sì al taglio”.

Tra i 71 sostenitori c’è un solo rappresentante dei Cinque Stelle, Gianni Marilotti, uno di Liberi e Uguali, Francesco La Forgia, sei della Lega – la cui firma è arrivata a sorpresa all’ultimo momento – e il senatore a vita, il premio Nobel per la fisica, Carlo Rubia.

“Siamo tutti soddisfatti, volevamo che fosse una iniziativa parlamentare trasversale e così è stato”, commenta felice Nazario Pagano, lasciando la Cassazione. Anche lui è consapevole che ieri, dopo le 4 defezioni di suoi compagni di partito, vicini a Mara Carfagna, s’è rischiato grosso.

“Ho ricevuto quattro messaggi sul cellulare sulla loro decisione di ritirare la firma, senza dare alcuna motivazione. Francamente ci sono rimasto male innanzitutto umanamente. Poi, a livello politico, credo sia un errore”. Quindi a ruota altre due defezioni dai dem, quelle di Francesco Verducci e Vincenzo D’Arienzo, e per ultimo il ritiro del pentastellato Mario Michele Giarrusso: “Hanno tentato di fare una ‘mandrakata’, di tirarci una fregatura, ma ce l’abbiamo fatta lo stesso”, commenta soddisfatto.

Tanti sono convinti che si sia usciti dall’empasse grazie al ‘soccorso verde’, visto che in poche ore si sono aggiunte sei firme di senatori leghisti. A pensarlo è soprattutto il Movimento Cinque Stelle, per cui il taglio dei parlamentari è una irrinunciabile bandiera politica.

Non a caso il Movimento attacca duramente la Lega per questa decisione. “Non hanno resistito alla voglia di tenersi strette le poltrone e a quanto pare è arrivato ‘l’aiutino’ leghista”, denunciano fonti 5S. “Non vediamo l’ora – proseguono – di dare il via alla campagna referendaria per spiegare ai cittadini che ci sono parlamentari che vorrebbero bloccare questo taglio, fermando così il risparmio di circa 300mila euro al giorno per gli italiani che produrrebbe l’eliminazione di 345 poltrone”.

Di contro, Pagano, osserva che alla fine l’apporto della Lega non sia stato determinante, ma sottolinea di apprezzarlo molto. “La nostra non è una battaglia di parte ma a difesa della civiltà giuridica di un Paese come l’Italia, composto di città, di Comuni. Crediamo sia giusto – prosegue – che siano gli italiani a decidere su come devono essere rappresentati nelle istituzioni. Per risparmiare un caffè al giorno non si può dare un colpo mortale alla nostra democrazia”.

In serata, durante un comizio elettorale in Calabria, è direttamente Matteo Salvini a spiegare la vera ragione del sostegno leghista al referendum: “Abbiamo dato un contributo per avvicinare la data delle elezioni, perché – chiarisce il segretario leghista – prima va a casa questo Governo di incapaci e meglio è, non per Salvini ma per l’Italia”.

(di Marcello Campo/ANSA)

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