PECHINO. – Dopo il tonfo delle amministrative di novembre 2018 e le dimissioni dalla leadership del Partito democratico progressista, la parabola politica di Tsai Ing-wen sembrava segnata. A poco più di un anno di distanza, la prima donna a salire fino alla presidenza di Taiwan si avvia, stando ai sondaggi, a strappare un secondo mandato alle elezioni di sabato sulla scia dell’indignazione dell’isola per le proteste di Hong Kong e dell’ondata di resistenza al pressing della Cina in forza di “una scelta di campo a favore della democrazia”.
La solidarietà verso l’ex colonia britannica ha cambiato le fortune di Tsai, il cui partito ha premuto molto sull’identità taiwanese, contro l’immagine data di Han Kuo-yu, il sindaco della città portuale di Kaohsiung e candidato dei Nazionalisti del Kuomintang, che ha puntato sulle difficoltà economiche e sul futuro incerto delle giovani generazioni. Nella percezione diffusa, il Kmt è una forza conciliante con Pechino, promotrice della firma del “Consensus” del 1992 sul principio della ‘Unica Cina’, di cui Taipei dà lettura diversa da quella di Pechino.
Tsai si è rifiutata di riconoscere l’Unica Cina già dalla salita al potere a maggio 2016, ha promosso politiche incentrate sull’autonomia e ha acquistato armamenti per miliardi di dollari dagli Usa con cui ha stretto oltremodo i rapporti, mandando su tutte le furie Pechino che ha aumentato il pressing, anche militare sull’isola.
Taiwan è “parte integrante del territorio” da riunire “alla madrepatria anche con la forza, se necessario”, ha detto in più volte il presidente Xi Jinping, che ha proposto un avvicinamento di Taipei al modello di semi-sovranità di “un Paese, due sistemi” come per Hong Kong e Macao. Un tema diventato un pilastro elettorale di Tsai, rifiutatasi di prenderlo in considerazione alla luce dei fatti di Hong Kong.
Dalla prospettiva cinese, Taiwan “si prepara alle elezioni regionali”, ha titolato il Global Times, tabloid del Quotidiano del Popolo, la ‘voce’ del Partito comunista, tra le accuse di “influenza” della Cina sul voto (ci sono stati casi di fake news contro la Tsai, tra le cause che hanno portato al varo della legge ‘anti-infiltrazioni esterne’) e il condizionamento delle proteste di Hong Kong.
Malgrado le crescenti sfide e il rafforzamento delle forze “pro-indipendenza”, la “riunificazione è un trend inevitabile a prescindere dal vincitore” elettorale.
Liu Jieyi, capo del Taiwan Work Office del Comitato centrale del Pcc e dell’Ufficio di Taiwan del governo, ha ammonito a inizio anno che se le due parti troveranno un passo di sviluppo pacifico, “i compatrioti di Taiwan potranno godere dei relativi benefici”. Invece, “il confronto e l’ostilità di una piccola minoranza finiranno per colpire gli interessi dei compatrioti”.
Il ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu ha offerto oggi un ramo d’ulivo a Pechino dicendo che, se rieletta, Tsai terrebbe lo status quo, quindi non cercherebbe l’indipendenza, all’insegna di “relazioni sostenibili, prevedibili e pacifiche”.
Wu ha chiesto alla Cina di non fare ritorsioni. “Sono nostre elezioni: se vogliono giocare con le democrazie in altri Paesi, forse potrebbero provare facendo le loro elezioni”, ha aggiunto.
Tsai, 63 anni con studi alla London School of Economics, è secondo i sondaggi di fine dicembre al 50% delle intenzioni di voto, con un ampio margine del 25-30% su Han, margine incolmabile secondo gli esperti.
(di Antonio Fatiguso/ANSA)