Attesa la vendetta iraniana, allarme cyberattacchi

Cerimonia in onore del generale Qassem Soleimani, comandante della Quds Force, in Gaza City.
Cerimonia in onore del generale Qassem Soleimani, comandante della Quds Force, in Gaza City. EPA/MID

WASHINGTON. – La vendetta iraniana per l’uccisione del generale Qassem Soleimani potrebbe colpire ovunque: più probabilmente in Medio Oriente, ma anche in altre parti del mondo. E l’obiettivo potrebbe essere non solo l’America, ma anche le forze e gli interessi degli alleati Usa.

E’ questo che vanno ripetendo in queste ore esperti e commentatori americani, anche se da Washington assicurano che al momento non esistono minacce “specifiche e credibili”. L’unico vero allarme per ora è quello su una possibile massiccia ondata di cyberattacchi che l’Iran potrebbe sferrare con conseguenze disastrose in Occidente.

Non è detto che la risposta della Repubblica islamica arrivi nell’immediato: non solo per rispettare il lutto proclamato per la morte del generale iraniano, ma anche per la necessità di riorganizzare i vertici di intelligence e militari di cui Soleimani era il leader assoluto.

Di certo – spiegano gli esperti – i target allo studio di Teheran saranno altamente simbolici, quanto meno proporzionati alla decisione di Donald Trump di far fuori proprio un uomo simbolo, un eroe della rivoluzione iraniana e la figura più potente del Paese dopo quella dell’ayatollah Ali Khamenei.

La minaccia più concreta, dunque, per ora sembra essere un’offensiva su larga scala e senza precedenti degli hacker di stato di Teheran e di quelli che sostengono il regime degli ayatollah, per colpire e sabotare reti informatiche di ogni tipo: non solo quelle governative federali – ha spiegato il responsabile americano per la cyber sicurezza Chris Krebs – ma quelle di banche, compagnie petrolifere, ospedali e infrastrutture vitali per la sicurezza nazionale come dighe, reti di trasporto, centrali nucleari ed elettriche.

Insomma, un’azione in grado di mandare in tilt anche un intero Paese. “Bisogna prestare molta attenzione a tutti i sistemi critici del nostro Paese, e assicurarsi che ci sia un controllo su tutti gli accessi”, l’appello di Krebs.

C’è poi il timore per i soldati Usa di stanza in Medio Oriente, dall’Iraq alla Siria, dal Bahrain al Kuwait agli Emirati Arabi. E più che mai obiettivi sensibili sono le ambasciate-fortezza degli Usa nell’area, per proteggere le quali sono in arrivo almeno 2.800 soldati per dare rinforzo alle truppe già presenti.

Un altro fronte che preoccupa sono gli impianti petroliferi, a partire da quelli in Arabia Saudita già colpiti a suo tempo dalle milizie filo-iraniane, e le petroliere che transitano nel Golfo Persico. La rappresaglia iraniana potrebbe poi non risparmiare molti degli alleati degli Usa, a partire da quelli più invisi al regime di Teheran, come Israele e Libano dove pronti a colpire ci sarebbero gli Hezbollah vicini all’Iran.

Ma a Washington si teme anche per azioni condotte contro cittadini americani, con possibili prese di ostaggi tra il personale diplomatico, i lavoratori all’estero e i turisti, soprattutto in Iraq, in Afghanistan e in Libano.

Negli Usa intanto, per precauzione, nelle principali metropoli – da New York a Chicago, da Los Angeles a San Francisco e Miami – sono state elevate tutte le misure di sicurezza, con il dispiegamento di forze di polizia aggiuntive a protezione dei possibili obiettivi sensibili.

Mentre infuria la polemica politica, con i democratici che accusano l’amministrazione Trump di non avere un vero piano per difendere il Paese da qualunque tipo di attacco, sottolineando come il dipartimento creato dopo l’11 settembre 2001 per proteggere gli Usa dal terrorismo è stato riorientato negli ultimi anni sul fronte della lotta all’immigrazione clandestina.