L’ira di Trump per l’impeachment, Putin lo difende

Manifestanti marciano davanti alla Trump Tower di Nuova York, a sostegno dell'impeachment del presidente. (cnn.com)

WASHINGTON. – Nel day after dello storico impeachment per l’Ucrainagate, un furioso Donald Trump cerca una rapida assoluzione sollecitando il Senato a maggioranza repubblicana a fissare subito il processo. E incassa subito, oltre alla confortante reazione di Wall Street, il controverso appoggio di Vladimir Putin, ritenuto dall’intelligence Usa e dal rapport Mueller colui che ha ordinato le interferenze russe nelle presidenziali del 2016.

L’impeachment, afferma il leader del Cremlino facendo propia la teoria del tycoon nella consueta conferenza stampa di fine anno, “è solo la continuazione di una lotta politica interna. Il partito che ha perso le elezioni, quello democratico, ha tentato di ottenere risultati attraverso altri mezzi, accusando Trump di collusione con la Russia ma poi si è scoperto che non era vero e non poteva essere la base di un impeachment. Ora tirano in ballo le presunte pressioni sull’Ucraina. Ma i repubblicani hanno la maggioranza al Senato ed è estremamente difficile che destituiscano un rappresentante del loro partito per motivi che sembrano assolutamente inventati”.

Un intervento a gamba tesa nella politica interna americana che Putin raramente si concede e che alimenta i sospetti di un asse non disinteressato con The Donald.

C’è tuttavia un nuovo scontro tra i due partiti e un grosso ostacolo sulla strada di un processo lampo in Senato, finora atteso per la seconda settimana di gennaio. Subito dopo il voto di ieri, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha avvisato che non trasmetterà i due articoli d’impeachment finché il Senato non definirà le regole di un giusto processo. La mossa, ribadita oggi, rischia di far slittare il giudizio e di tenere Trump sulla graticola dell’impeachment.

I dem vogliono che siano acquisiti nuovi documenti e sentiti almeno quattro testimoni finora bloccati dalla Casa Bianca, tra cui l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e il capo dello staff presidenziale Mick Mulvaney. E chiedono garanzie di correttezza, dopo che il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell è andato alla Casa Bianca per coordinare le strategie e ha affermato che non sarà un giudice imparziale, come il collega Lindsey Graham.

Ma per ora McConnell ha respinto ogni istanza, accusando in aula i dem di aver istruito l’impeachment “più frettoloso, meno accurato e più ingiusto della storia” e di chiedere ora al Senato “di rifare i compiti della Camera”, sanando le carenze. Questo è “un precedente tossico che riecheggerà a lungo in futuro, la fine predeterminata di una crociata faziosa, di una rabbia di parte”.

Gli ha replicato il leader dei democratici al Senato Chuck Schumer: “Sta macchinando il più ingiusto e frettoloso processo nella storia Usa. Se il caso è così debole come dice, perché nessuno degli uomini del presidente viene a difenderlo sotto giuramento?”, ha chiesto.

Trump si è inserito nel duello accusando la Pelosi di aver “paura” di presentare al Senato la sua “patetica” bufala dell’impeachment e sollecitando la leadership repubblicana a fissare il processo: “Se i democratici fannulloni decidono di non comparire, perderanno per default”.

Insomma, a Capitol Hill resta il muro contro muro, con una polarizzazione senza precedenti, che si riflette non solo nel voto di ieri, dove solo tre democratici hanno votato con i repubblicani, ma anche nei sondaggi, che mostrano un Paese spaccato in due tifoserie irriducibilmente nemiche.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)