Il Pakistan condanna a morte Musharraf per alto tradimento

L'ex presidente del Pakistan, Generale (in ritiro) Pervez Musharraf riceve cure mediche in un ospedale di Dubai, nei primi giorni di dicembre.(gulfnews.com)

ROMA. – Alto tradimento. Con un’accusa senza precedenti l’ex presidente del Pakistan, generale Pervez Musharraf, è stato condannato a morte da un tribunale di Islamabad al termine di un processo iniziato nel 2014 a seguito dello stato d’emergenza e della sospensione della Costituzione imposti nel 2007 dall’allora uomo forte del Paese.

Musharraf, 76 anni, “è stato giudicato colpevole della violazione dell’articolo 6 della Costituzione”, ha riferito un funzionario del governo, Salman Nadeem, senza fornire ulteriori dettagli sulle motivazioni della sentenza. Ma il generale non era nella blindatissima aula della corte.

Ha saputo della condanna a Dubai, dove si trova per cure mediche dal 2016, e da dove difficilmente tornerà nel Paese in assenza, tra l’altro, di un trattato di estradizione formale tra Emirati e Pakistan. Uno dei suoi avvocati, Akhtar Shah, ha già annunciato che il collegio difensivo presenterà ricorso contro la condanna a morte.

Il colpo inferto dalla magistratura non solo a Musharraf, ma a tutta la potente casta militare pachistana, è durissimo. Mai un leader in divisa era stato accusato di un reato di tale gravità e condannato alla pena capitale. E anche in tempi di governi civili, come quello dell’attuale premier Imran Khan, gli alti gradi hanno tradizionalmente avuto l’ultima parola sui destini politici pachistani.

La reazione dell’esercito non si è fatta attendere. “La procedura legale regolare sembra essere stata ignorata”, si legge in un comunicato dell’ufficio stampa che critica “la negazione del diritto fondamentale alla difesa” e afferma che Musharraf, che ha servito il Paese per oltre 40 anni, “non può assolutamente essere considerato un traditore”.

Il verdetto, aggiunge la nota, ha provocato “molta ansia e dolore tra i ranghi” dell’esercito.

Musharraf era capo delle forze armate quando guidò il colpo di stato che rovesciò nel 1999 Nawaz Sharif, posto sotto processo e costretto all’esilio. Divenuto presidente nel 2001, rimase al potere sette anni segnati da una dura repressione del dissenso e da abusi in materia di diritti umani. Ma anche dallo schieramento, seppure ambiguo, a fianco degli Stati Uniti nella guerra al terrore seguita agli attacchi dell’11 settembre.

Un periodo durante il quale sopravvisse a ripetuti tentativi di assassinio. Minacciato “ufficialmente” di morte dal Movimento dei talebani del Pakistan (Ttp), accusato di essere il mandante  dell’omicidio nel 2006 di Akbar Bugti, leader independentista del Baluchistan, Musharraf decise di sospendere la Costituzione e di imporre lo stato di emergenza. Le violente manifestazioni di massa che ne seguirono lo costrinsero alla fuga dal Paese.

Inseguito da molteplici mandati d’arresto, tra l’altro per il presunto coinvolgimento nell’assassinio di Benazir Bhutto nel 2007, rientrò nel 2013 in Pakistan asserendo che avrebbe riportato pace e stabilità con la sua Lega musulmana di tutto il Pakistan (Apml). Fu arrestato quasi subito e poi liberato su cauzione.

Il ritorno al potere dell’antico rivale da lui deposto, il “leone del Punjab” Nawaz Sharif segnò l’inizio della resa dei conti che si è conclusa oggi.

 

(di Eloisa Gallinaro/ANSA)

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