Boris prende possesso di Westminster, accelera su Brexit

Boris Johnson pronuncia un discorso con alle spalle il suo slogan elettorale. (AFP/ Ben STANSALL )

LONDRA. – “Get Brexit done”. Lo slogan elettorale di Boris Johnson diventa ora il primo punto del suo programma di governo. Forte della maggioranza blindata che si è assicurato alle urne, il premier Tory ha rimesso piede a Westminster, dove i deputati sopravvissuti al voto e i volti nuovi promossi in tanti collegi hanno iniziato ad affluire in vista della formale inaugurazione della legislatura di domani, per serrare i ranghi e spronare il megagruppo parlamentare del suo partito: impennatosi a 365 seggi su 650.

Il messaggio è stato confermato forte e chiaro da un portavoce di Downing Street: per l’uscita dall’Ue si accelera.

L’iter riprenderà già venerdì 20, subito prima della pausa natalizia, quando alla Camera dei Comuni tornerà la legge sul recesso dall’Unione (Withdrawal Bill), che include l’accordo di divorzio raggiunto da Johnson con Bruxelles. “Inizieremo il processo prima di Natale”, ha sottolineato un portavoce, senza escludere qualche correttivo al testo presentato in fretta e furia all’ombra del precedente Parlamento, da un governo allora in affanno e privo di maggioranza autonoma.

Un universo fa, malgrado le poche settimane trascorse. Adesso l’approvazione finale è solo questione di tempo, dati i nuovi rapporti di forza alla Camera dei Comuni, scontata entro la scadenza del 31 gennaio 2020. I mercati, sollevati almeno dalla fine dell’incertezza, si preparano.

E così le cancellerie d’Europa e del resto del mondo. Il capo negoziatore di Bruxelles, Michel Barnier, è tornato a incontrare o a sentire i capi di governo dei 27, guardando alla successiva corsa contro il tempo che scatterà dopo il 31 gennaio per trattare nei soli 11 mesi di transizione post Brexit previsti (salvo proroghe) il contenuto delle relazioni future con Londra, commerciali in primis.

Mentre il presidente americano Donald Trump s’è affrettato a telefonare all’amico Boris per felicitarsi, ma anche per evidenziare d’intesa con lui “l’importanza enorme” della relazione speciale fra Usa e Regno Unito: dal dossier della sicurezza a quello di un prossimo “ambizioso accordo di libero scambio” bilaterale.

Non di sola Brexit vive tuttavia il Johnson trionfatore delle elezioni. Per ora la sua compagine resta confermata nelle pedine chiave, al di là di qualche ritocco. Ma dopo il 31 gennaio si pronostica un ampio rimpasto per renderlo più ecumenico, accompagnato da un possibile rinnovamento incisivo anche fra le file del compassati funzionari del civil service, che il guru di BoJo, Dominic Cummings, pare voglia adesso molto più allineati.

Il messaggio di una nuova “Conservative One Nation” va del resto indirizzato a una platea più vasta, simboleggiata dai 109 deputati Tory di prima nomina emersi in parte in collegi storicamente laburisti di quello che fu il Muro Rosso.

Elettori ai quali Boris promette risposte anche su priorità quali l’aumento delle risorse alla sanità (Nhs), l’istruzione e la sicurezza, in attesa di poter metter mano più avanti al promesso giro di vite sull’immigrazione, dal 2021, dopo la fine dello status quo con l’Ue imposto dalla transizione post divorzio.

In discussione, fra i primi provvedimenti che giovedì saranno annunciati dal Queen’s Speech, letto secondo tradizione dalla regina a Camere riunite, pure una possibile controversa norma per depenalizzare il mancato pagamento del canone alla Bbc.

Sorta di vendetta contro le scarse simpatie attribuite all’emittente pubblica nei confronti di Boris, ma sullo sfondo d’una bufera che vede la reputazione del glorioso servicio pubblico messa in dubbio da diversi lati.

Incluso il Labour – sotto shock per la disfatta del voto e diviso al suo interno nel percorso verso la sostituzione del dimissionario Jeremy Corbyn con un leader o una leader più giovane destinato a iniziare il 7 gennaio per chiudersi al più tardi a fine marzo – dal dove a polemizzare apertamente è il ministro ombra Andy McDonald: accusando la Bbc d’essere venuta meno ai doveri d’imparzialità e di aver contribuito deliberatamente alla “grottesca e scorretta” campagna mediatica demonizzatrice cui c’è chi non rinuncia ad addossare parte delle disgrazie del compagno Jeremy.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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