La notte della verità sulla Brexit, Johnson vola

Boris Johnson abbraccia il suo cagnolino Dilyn con cui é andato a depositare il voto al seggio elettorale. (mundo.com)

LONDRA, 12 DIC – Boris Johnson vola sulle ali delle previsioni verso la vittoria alle elezioni britanniche, destinate secondo la sua promessa-tormentone (“Get Brexit done”) a sigillare il divorzio del Regno Unito dall’Ue a tre anni e mezzo di distanza dal referendum del 2016.

Ma i risultati, e l’assegnazione dei seggi, restano appesi allo scrutinio che si completerà solo verso l’alba sul verdetto che conta: la maggioranza assoluta ai Tory del premier o spazi di manovra a sorpresa per il fronte dei partiti – in primis il Labour a trazione socialista di Jeremy Corbyn – che si sono impegnati a convocare un secondo referendum sull’addio a Bruxelles.  E a offrire ai sudditi di Sua Maestà una chance di ripensamento.

Una chance che Johnson non intende neppure prendere in considerazione, avendo giocato l’intera partita per restare a Downing Street sulla falsariga di un solo obiettivo: portare a casa la Brexit, quella Brexit di cui a suo tempo è stato il testimonial referendario simbolo, archiviare “l’incertezza” e permettere al Regno di guardare avanti.

Con piani d’investimenti nella scuola, nella sanità e per la sicurezza meno ambiziosi rispetto al programma radicale di Corbyn – improntato al rilancio dell’intervento dello Stato in economia, con più spesa pubblica, aumenti di tasse sui ceti benestanti e qualche nazionalizzazione di ritorno – ma certo meno inquietanti per l’establishment, il business, la classe media agiata.

L’orizzonte di BoJo è adesso orientato a fare i conti con i numeri della Camera dei Comuni entrante, che sarà inaugurata la settimana prossima. E, se tutto andrà bene, ad avviare l’iter sulla ratifica del controverso accordo di separazione da lui già raggiunto con Bruxelles prima della pausa di Natale.

Per poi mettere nel mirino l’obiettivo dell’attuazione formale della Brexit alla nuova scadenza fissata per il 31 gennaio.

Lo sfondo è quello di un Paese che si accinge, sia come sia, ad affrontare uno snodo “storico”, secondo il parere unanime dei commentatori. Non senza un impatto e connotati in qualche modo epocali anche per il resto dell’Europa, Italia compresa.

La consapevolezza del momento è emersa fin dal mattino, con un’affluenza alle urne significativa su e giù nelle quattro nazioni del Regno: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Johnson e Corbyn sono stati tra i primi a depositare le schede, entrambi a Londra, ma in quartieri diversi.

Il leader laburista accompagnato dalla moglie Laura Alvarez, figlia di dissidenti cileni fuggiti nel Regno ai tempi di Pinochet. Il primo ministro conservatore, uno dei più eccentrici inquilini di Downing Street degli ultimi decenni, con il cagnolino Dilyn al guinzaglio, al pari di tanti altri buoni inglesi.

Poi è stata la volta di tutti gli altri capipartito, dall’indipendentista scozzese Nicola Sturgeon, il cui Snp ribadisce il ruolo di prima forza della Scozia, alla liberaldemocratica Jo Swinson, anti Brexit radicale, in corsa per quindicina di collegi contro i quasi 600 complessivi contesi anche questa volta da Tory e Labour.

Mentre file di semplici elettori si formavano con britannico ordine in svariati seggi. Il segnale di una partecipazione sostenuta fra i circa 46 milioni di aventi diritto, sulla scia della crescita tendenziale delle ultime quattro consultazioni politiche fino al dato del 68,8% del 2017.

Partecipazione alimentata dai nuovi elettori, giovani e giovanissimi, in larga parte attratti dalla svolta a sinistra corbyniana in un Paese segnato da disuguaglianze e in un mondo globalizzato all’insegna di molta precarietà; ma anche dalla “maggioranza silenziosa” più orientata il verbo Tory, a dispetto della giornata generalmente fredda e piovosa.

Suggello di un voto fuori stagione – a dicembre l’ultima volta era stato nel lontano 1923 – incaricato di fare la storia.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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