Rebus referendum, 12 gennaio snodo per la legislatura

Una sessione della Camera dei Deputati. Immagine d'archivio.
Una sessione nell' Aula della Camara dei Deputati. Immagine d'archivio. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

ROMA. – Il 12 gennaio, scadenza del termine per depositare la richiesta di referendum, è una data da segnare in rosso nel calendario della politica. Secondo i calcoli degli esperti se si volesse andare alle elezioni mantenendo l’attuale numero dei parlamentari e senza l’entrata in vigore del taglio di deputati e senatori, quindi evitando una serie di criticità politiche e istituzionali, le Camere andrebbero preferibilmente sciolte entro la prima metà di gennaio.

Prima, cioè, che scada il termine per il deposito della richiesta di referendum. Senza contare che solo tre giorni dopo c’è un’altra delicatissima scadenza dal forte impatto politico: il 15 gennaio infatti è prevista la sentenza della Corte costituzionale sul referendum per la legge elettorale chiesto da diverse Regioni.

Naturalmente è ovvio che il presidente della Repubblica, trovandosi di fronte ad una improvvisa crisi di governo e senza maggioranze alternative, avrebbe il dovere di sciogliere le Camere e chiamare il Paese al voto con il sistema vigente al momento, visto che l’iter della riforma costituzionale per la riduzione dei parlamentari non sarà completo fino alla fine degli adempimenti formali (leggi referendum e collegi elettorali).

La legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari è stata approvata in seconda lettura con la maggioranza assoluta (e non con quella dei due terzi). Può, dunque essere sottoposta a referendum entro il 12 gennaio su richiesta di un quinto dei membri di una Camera (65 senatori o 126 deputati), di 500.000 elettori o di cinque Consigli regionali.

E al momento al Senato si contano già ben 52 firme raccolte. Se non fosse avanzata richiesta di referendum, alla scadenza dei tre mesi dalla pubblicazione del testo in Gazzetta il presidente della Repubblica dovrà pubblicare la legge entro il 12 febbraio.

Se, invece, la richiesta di referendum arrivasse, la Cassazione dovrà pronunciarsi sulla sua ammissibilità. Tra decisione ed eventuali ricorsi potranno servire tra 20 e 30 giorni. Il referendum sarà quindi indetto entro 60 giorni dall’ordinanza che lo ammette, e potrà svolgersi in una domenica compresa tra il 50/mo e il 70/mo giorno successivo al decreto di indizione.

A conclusione positiva del referendum, avranno luogo proclamazione del risultato, pubblicazione della legge costituzionale e vacatio legis (complessivamente almeno 20/30 giorni), prima dell’entrata in vigore della legge stessa.

Sia in caso di esito positivo del referendum sia nell’ipotesi in cui esso non venga richiesto, in base all’articolo 4 della legge sulla riduzione del numero dei parlamentari le nuove norme potranno applicarsi non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla loro entrata in vigore.

In caso di mancata richiesta di referendum quindi, considerati i tempi per accertare la mancata richiesta, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e la vacatio legis, questi 60 giorni potranno decorrere dalla prima metà di febbraio, per concludersi orientativamente entro metà aprile, quando la riduzione dei parlamentari sarà effettiva.

A quel punto, il governo avrà 60 giorni per ridisegnare i collegi elettorali. In definitiva, ove venisse richiesto un referendum sulla legge costituzionale per la riduzione dei parlamentari, i tempi per la definitiva entrata in vigore della nuova normativa potrebbero superare i dieci mesi dalla data della pubblicazione della legge elettorale.

Ove il referendum non fosse invece richiesto, sembrerebbero necessari tra i cinque e i sei mesi dalla suddetta data del 12 ottobre e quindi, come ricordato, la piena operatività della norma partirebbe dal mese di aprile. Si tratta di uno snodo politico raro e delicato: infatti alcuni esperti sottolineano che ipotesi diverse di scioglimento e conseguenti elezioni potrebbero far sorgere dubbi sulla rappresentatività del nuovo Parlamento.

Bisognerebbe, infatti, affrontare la non secondaria questione di un Parlamento – che dovrà scegliere il nuovo capo dello stato – eletto pochissimo tempo prima dell’operatività di una norma che ne avrebbe modificato in maniera significativa la rappresentatività.

L’interrogativo che chi ragiona sulla materia si pone è che venga in tal modo gettata un’ombra sulla stessa rappresentatività del nuovo capo dello stato, scelto da un organo numericamente diverso da quello disciplinato dalle norme che saranno vigenti al momento della sua elezione: organo costituitosi solo pochi giorni prima l’entrata in vigore delle nuove, più restrittive norme.

Per questo, è l’analisi di alcuni esperti, ove si volesse procedere linearmente a nuove elezioni con l’attuale numero dei parlamentari, sarebbe meglio attivare lo scioglimento prima del 12 gennaio. Altrimenti, sia in caso di mancata richiesta di referendum sia di proposizione della richiesta stessa, lo scioglimento dovrebbe aver luogo dopo la piena operatività delle nuove norme, e quindi con il ridotto numero dei parlamentari.

Nel primo caso in primavera avanzata, e nel secondo non prima del prossimo autunno. Naturalmente si tratta di analisi e riflessioni che non inficiano l’insindacabile potere di scioglimento che la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica.