Strage italiani a Dacca, sette jihadisti condannati a morte

Foto degli italiani uccisi a Dacca da jihadisti musulmani. (Meteoweek)

BANGKOK. – Fu il più grave attentato terroristico nella storia del Bangladesh: 22 civili uccisi, tra cui nove italiani imprenditori del tessile, trucidati in un ristorante nel quartiere diplomatico di Dacca.

Oltre tre anni dopo, è arrivata la condanna a morte per sette miliziani islamici giudicati colpevoli di aver aiutato a organizzare l’attacco del primo luglio 2016 alla Holey Artisan Bakery.

Una sentenza che idealmente suggella il giro di vite contro il terrorismo in un Paese dall’Islam tradizionalmente moderato, dove però il contagio jihadista ispirato dall’obiettivo del Califfato non è stato debellato.

Il tribunale speciale istituito per il processo ha condannato i sette per una serie di reati che vanno dal sostegno ad un’organizzazione terroristica alla partecipazione in un complotto criminale. “Nessuno oserà organizzare attacchi del genere in futuro”, ha dichiarato il procuratore Abdullah Abu, soddisfatto del verdetto.

Un ottavo imputato è stato assolto, mentre i sette colpevoli – alcuni dei quali hanno gridato “Allahu Akbar” (Dio è grande) e “Siamo soldati del califato” uscendo dall’aula – hanno già annunciato di voler fare ricorso.

Normalmente in Bangladesh il metodo utilizzato per le esecuzioni è l’impiccagione.

L’organizzazione islamista locale Jamaat-ut-Mujahidden Bangladesh (Jmb), fondata nel 1998 e messa al bando sette anni dopo, è considerata la responsabile dell’attacco. La strage era stata inizialmente rivendicata dall’Isis, ma i legami tra Jmb e il Califfato erano più di ispirazione che organizzativi.

L’attacco fu compiuto da cinque militanti – ragazzi di famiglie bene di Dacca, con un’ottima istruzione – che avevano preso in ostaggio decine di persone all’interno del ristorante nel quartiere di Gulshan, trucidando i non musulmani con armi da taglio.

Tutti e cinque furono uccisi nel blitz delle forze di sicurezza a 12 ore dall’inizio dell’attacco. Oltre ai nove italiani – Nadia Benedetti (52 anni), Adele Puglisi (54), Claudia Maria D’Antona (56), Maria Riboli (34), Simona Monti (33), Marco Tondat (39), Cristian Rossi (47), Claudio Cappelli (45) e Vincenzo D’Allestro (46) – furono uccisi sette giapponesi, un’indiana, cinque bengalesi e due poliziotti, mentre 13 ostaggi vennero salvati.

L’attentato giunse in scia a una serie di omicidi di scrittori e blogger considerati ostili all’Islam, nonché ad attacchi mortali contro minoranze religiose. L’anno prima era stato ucciso anche un altro italiano, il cooperante Cesare Tavella, mentre faceva jogging nello stesso quartiere.

Il Bangladesh fu scioccato dalla barbarie dei miliziani. “Che razza di musulmani sono? Non hanno nessuna religione!”, aveva tuonato in un discorso televisivo la premier Sheikh Hasina, che vedeva negli islamisti anche un alleato del maggior partito di opposizione.

Le operazioni anti-terrorismo lanciate dalle autorità da allora hanno portato ad almeno 80 sospetti militante uccisi e altri 300 arrestati, con metodi spicci condannati da diverse organizzazioni per i diritti umani.

Per quanto la rete dei miliziani sia stata indebolita, gli analisti avvertono che le idee jihadiste – come dimostrano le grida dei condannati oggi  – rimangono presenti tra una frangia di islamici più conservatori.

(di Alessandro Ursic/ANSA)