Trump si schiera su Hong Kong: “Stiamo coi manifestanti”

Una manifestazione degli attivisti Pro-democratici al Kowloon Bay Mall di Hong Kong. Immagine d'archivio. ANSA/EPA)

PECHINO. – “Noi siamo con i manifestanti, gli Usa vogliono vedere la democrazia ad Hong Kong”: Donald Trump infiamma lo scontro con la Cina, nel mezzo degli sforzi per la “fase uno” dell’accordo sul commercio.

Alla piroetta del tycoon, non sempre lineare sulle proteste antigovernative che da quasi 6 mesi stanno agitando la città (“Dobbiamo stare con Kong Kong ma io sto anche col presidente Xi”, aveva detto sibillino la scorsa settimana a Fox News), si è aggiunto l’affondo del segretario di Stato Mike Pompeo, congratulatosi per le elezioni distrettuali di domenica che hanno visto la schiacciante vittoria dei pan-democratici (17 consigli su 18 e 388 seggi sui 452 in palio) a danno del fronte pro-Pechino.

Donald “Trump è stato chiaro su come la Cina dovrebbe trattare” la popolazione, ha aggiunto Pompeo.

Il doppio colpo è maturato alla fine di un’altra giornata ad alta tensione sul capitolo Hong Kong. In mattinata, infatti, il ministero degli Esteri cinese ha fatto sapere che lunedì aveva convocato l’ambasciatore Usa a Pechino per aumentare il pressing e scongiurare che l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act diventi esecutivo.

Perchè lo sia manca solo la firma del presidente americano, ultimo passaggio dopo il via libera del Congresso.

Il viceministro degli Esteri Zheng Zeguang, in base a quanto scritto in una nota, ha convocato l’ambasciatore Terry Branstad chiedendo che la normativa a favore del movimento pro-democrazia che sta agitando la città (e irritando oltremodo Pechino) sia ritirata come correzione “immediata degli errori”.  Altrimenti – ha ammonito – Washington si “farà carico di tutte le relative conseguenze”.

Zheng ha accusato il Congresso di tralasciare i fatti e la verità, di essere connivente e di supportare i violenti crimini e l’azione degli agitatori. “É una grave violazione delle leggi internazionali e delle basi delle relazioni internazionali”, e qualsiasi tentativo “di spingere Hong Kong nel caos e di distruggere la sua stabilità e prosperità è destinato a fallire”.

A Hong Kong, intanto, la governatrice Carrie Lam ha fatto un mea culpa sul disastro elettorale, ma si è ben guardata dal fare aperture. Ha riconosciuto la presenza di un “malcontento” tra gli elettori che hanno espresso l’opinione su diverse questioni, “incluse le mancanze nella governance, con la gestione dell’ attuale disordine. Penso che dobbiamo riflettere seriamente su questo e migliorare la governance in futuro”, ha affermato in conferenza stampa.

Nella città, intanto, oggi si sono rivisti i sit-in di protesta di pochi minuti nella pausa pranzo a Central e a Kowloon Bay, prima dell’intervento della polizia senza l’uso della forza. Il tempo è stato sufficiente per occupare le strade e scandire lo slogan simbolo (“Cinque richieste, non una di meno”) delle rivendicazioni, tra cui il suffragio universale.

Un’ispezione al Politecnico, sotto l’assedio della polizia da 10 giorni, ha portato intanto al ritrovamento solo di una giovane donna, in condizioni di debolezza fisica e psichica.

Il vicepresidente del PolyU Alexander Wai ha detto di ritenere che non ci siano altri manifestanti nel campus. “Non posso escludere l’ipotesi che qualcuno vi si nasconda, ma la possibilità non è molto alta”.

E domani riaprirà il Cross-Harbor Tunnel chiuso per due settimane a causa degli scontri tra manifestanti e polizia, come tentativo di ritorno alla normalità auspicato dalla Lam che appare ancora decisamente lontano.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)