Conte e Mittal a confronto, si decide dentro o fuori

Gli impianti della fabbrica Ilva di Arcelor Mittal a Taranto
Gli impianti della fabbrica Ilva di Arcelor Mittal a Taranto, 15 novembre 2019. ANSA/DONATO FASANO

ROMA. – Sì o no, dentro o fuori. E’ tarda sera, a mercati chiusi, quando Giuseppe Conte siede al tavolo con Lakshmi e Aditya Mittal, padre e figlio, i vertici del gruppo Arcelor Mittal. Al suo fianco ci sono i ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli. Aspetta fuori l’ad italiana, Lucia Morselli.

Il primo incontro serve a capire se si può trattare o no, per poi entrare nel vivo del negoziato. Mittal siede al tavolo dopo aver inviato segnali di apertura. Il premier pone agli indiani un aut aut preciso: “O garantite la possibilità di rispettare gli impegni contrattuali o reagiremo adeguatamente alla battaglia giudiziaria che voi avete voluto”.

Che il negoziato si apra davvero, non è affatto scontato. “Non possiamo accettare un disimpegno dagli impegni contrattuali”, dice Conte prima di sedersi al tavolo. Ciò vuol dire che il negoziato del governo si svilupperà se ci sarà da parte di Arcelor Mittal la sospensione del procedimento per la revoca avviato in tribunale.

Il 27 novembre è in programma a Milano un’udienza per decidere del ricorso presentato dal governo contro quella revoca. Un documento delle parti potrebbe chiedere altro tempo e sospendere la via giudiziaria per lasciare spazio ai tavoli, anche con i sindacati. Ma il tavolo serale a Palazzo Chigi potrebbe essere solo il primo di una serie di incontri e contatti da portare avanti nel weekend, per dare lunedì mattina un segnale anche ai mercati. Fino all’ultimo però appare poco chiaro fin dove si spinga la disponibilità di Mittal, tant’è che più fonti governative invitano alla prudenza.

Il sospetto che la multinazionale voglia andar via, non è ancora archiviato. Anzi. Se così sarà, l’esecutivo è pronto a mettere subito in campo il “piano B”, con la nomina di un commissario e una nazionalizzazione ponte mentre si cerca una nuova cordata, da affiancare alla “battaglia giudiziaria del secolo” per avere dall’azienda un risarcimento miliardario. Se invece si tratterà, il punto di partenza per l’esecutivo è che Mittal ritiri la richiesta di 5.000 esuberi e assicuri la prosecuzione di una produzione a regime, con l’impegno ad andare avanti nelle bonifiche e nel risanamento ambientale.

L’esecutivo è pronto a far fronte a una contrazione temporanea della produzione determinata dal mercato e a garantire ammortizzatori sociali per un massimo di 2500 esuberi (ma secondo alcune fonti si potrebbe arrivare a 3000). In più ci sarebbe un decreto per lo scudo penale, uno sconto sugli affitti degli impianti e sulle bonifiche e, in prospettiva, un piano che punti alla decarbonizzazione.

Il governo non può dare garanzie, come chiede l’azienda, sull’Altoforno 2, ma i commissari hanno già chiesto alla procura di Taranto più tempo per la messa in sicurezza. A fare da corollario ci sarebbe poi la possibilità di un intervento di Cdp (ma non nell’azionariato con Mittal), un più forte impegno di Intesa e risorse di aziende a partecipazione pubblica come Terna in progetti per Taranto.

Un Cdm straordinario potrebbe essere convocato per il “cantiere Taranto”, il pacchetto di misure (alcune potrebbero entrare in manovra) del governo per la città e a sostegno dell’occupazione (si valuta un decreto ma potrebbe essere un disegno di legge).

A indurre il governo a tenere fino all’ultimo la guardia alta con Mittal ci sono comunque le notizie che arrivano dal fronte giudiziario. Dalle testimonianze dei dirigenti nell’inchiesta milanese, emerge che è stato “cancellato l’approvvigionamento delle materie prime” e che “già a settembre Morselli dichiarava che la società aveva esaurito la finanza” per l’operazione.

La procura di Milano interviene nella causa tra Arcelor Mittal e l’ex Ilva e afferma che il venire meno dello scudo penale è stato usato come un “pretesto” per il recesso. “La verità è che hanno sbagliato il piano industriale – gongola Luigi Di Maio – i pm, e non quei cattivoni dei Cinque stelle, ora confermano che la storia dello scudo era una balla”.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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