Gantz rinuncia a formare governo, Israele verso il voto

Il presidente d'Israele, Reuven Rivlin (C) insieme al primo ministro uscente Benjamin Netanyahu (D) e l'ex capo delle Forze Armate, Benny Gantz (S). (lastampa.it)

TEL AVIV. – Israele scivola verso nuove elezioni, le terze in meno di un anno. Benny Gantz, il leader centrista di Blu-Bianco che ha vinto di misura le elezioni dello scorso settembre, ha rinunciato al mandato di formare il nuovo governo.

Lo ha fatto – prima delle 24 (ora locale), termine ultimo – attaccando il premier Benyamin Netanyahu autore di “un muro” invalicabile, pur avendo tentato – ha spiegato – di “rigirare ogni pietra”.

Netanyahu – ha attaccato Gantz – “conduce una campagna di odio e incitamento, il cui scopo è di giustificare che lui si abbarbichi al governo di transizione contro la volontà dell’elettore”.

Tuttavia la sorte del tentativo di Gantz era segnata da questa mattina quando il leader nazionalista laico Avigdor Lieberman – che si è confermato king maker della situazione – ha annunciato che erano fallite le trattative per un “governo unitario nazionale e liberale” con il Likud di Netanyahu e con i centristi di Gantz.

Ma che, soprattutto, non aveva intenzione di appoggiare nessuno dei due possibili alleati, vanificando così anche quella sorta di scappatoia perseguita da Gantz: un governo di minoranza appoggiato dall’esterno sia da Lieberman sia dai partiti arabi alla Knesset.

Una strada in salita. E così due giorni l’annuncio di Trump sulla legalità per gli Usa degli insediamenti israeliani in Cisgiordania che ha rafforzato la posizione di Netanyahu ma che è stata attaccata oggi sia dalla Santa Sede sia dall’Onu entrambi schierati decisamente sulla soluzione a 2 stati, Israele si ritrova in una clamorosa impasse politica.

Dopo la doppia rinuncia di Netanyahu e quella di Gantz, lo stato ebraico è entrato politicamente in “un territorio inesplorato” – per usare l’espressione di alcuni analisti – che non ha precedenti nella storia politica del paese.

C’e’ ancora una sottilissima barriera – anche questa mai sperimentata – prima dell’annuncio di nuove elezioni che potrebbero svolgersi a marzo.

La legge prevede che i deputati israeliani abbiano 21 giorni durante i quali ogni parlamentare della Knesset (Netanyahu e Gantz compresi) può decidere di appoggiare un collega come primo ministro.

Se questo signor qualcuno ottiene 61 seggi (la metà più uno dei 120) allora è primo ministro. Solo se questo non avviene – e allo stato attuale nessuno è pronto a scommetterci – il presidente Rivlin convocherà le urne.

Una realtà che in questi oltre due mesi dal voto – con l’incarico prima a Netanyahu, poi a Gantz – tutti i partiti hanno sempre detto di voler evitare ad ogni costo.

Netanyahu ha tentato un ultimo strappo chiedendo a Gantz, dopo le trattative fallite tra Likud e Blu-Bianco, di sedersi ad un tavolo perchè ancora “c’era tempo” per un accordo e che le “distanze non erano grandi”.

Ma soprattutto ha chiesto all’ex capo di stato maggiore di rinunciare all’alleanza con il suo vice Yair Lapid e con l’altro leader centrista Moshe Yaalon, più ostici nei confronti delle richieste e della maggioranza di destra e religiosa del premier.

Una mossa che Gantz non poteva, e non voleva, fare. Molto – secondo le indiscrezioni – sembra essersi arenato sulla questione dell’alternanza alla leadership tra Netanyahu e Gantz così come l’aveva immaginata il presidente Rivlin per un governo di unità nazionale.

Anche perchè in quella eventuale alternanza c’era una questione di fondo, definita “etica” da Gantz: cosa sarebbe successo se Netanyahu fosse stato incriminato nelle inchieste che lo riguardano? Si sarebbe dimesso o avrebbe fatto ricorso, come previsto dalla legge, alla immunità parlamentare?

E proprio stasera i media hanno riportato che l’Avvocato generale dello stato Avichai Mandelblit alla fine è pronto a dare il suo giudizio e che ha intenzione già domani di incriminare Bibi per frode ed abuso di ufficio in due delle quattro indagini.

(di Massimo Lomonaco/ANSAmed)