Rifugiato curdo in Italia posta Bella Ciao, arrestato al ritorno in Turchia

Bella Ciao: il testo della prima strofa.
Bella Ciao

MILANO. – E’ costato caro, a un curdo rifugiato in Italia, aver postato sul web un video delle combattenti curde, le famose “peshmerga”, che cantano ‘Bella Ciao’. Lui, che vive in Italia da anni, ed era convinto di poter godere della libertà di cui godiamo tutti, sui social, si è però trovato faccia a faccia con una dura realtà quando è tornato in patria, dove i militari gli hanno detto che era un pericoloso sovversivo comunista, e un sostenitore delle “terroriste”.

Così si è fatto 40 giorni di arresti domiciliari e poi è riuscito a lasciare il Paese. Adesso, tornato in Italia, prende spunto dalla sua storia per denunciare “l’accanito controllo” dei sostenitori del governo turco sul web e all’interno della comunità curda.

Il fenomeno delle ‘spie’ turche è uno dei più spinosi, per i curdi che sono riusciti a venire a vivere in Italia come rifugiati. L’asilo politico non li protegge, perché in Turchia hanno le famiglie, beni privati, e vivono spesso con circospezione, come fuggitivi.

Maruf (il nome è di fantasia, ndR) ci incontra in un negozio Kebab nel Milanese. Ha lo sguardo rassegnato e le mani che tremano, più per la rabbia che per la paura: “Sono stato picchiato, minacciato, arrestato – racconta all’ANSA -. Io prima facevo l’attivista, sostenevo la causa del popolo curdo, ma pacificamente, a margine delle attività dei partiti legalmente riconosciuti, non il Pkk, per capirsi. Ora mi vergogno di me stesso. Ho mollato tutto. Non ho più nemmeno il coraggio di rivendicare le mie opinioni su Facebook. Mi sento umiliato. Nemmeno qui ho dei diritti”.

Una situazione difficile da capire pienamente, questa delle paure dei curdi, da sempre abituati a nascondersi, anche per chi vive in Italia. “Per noi basta scrivere qualcosa su Facebook, qui – riprende Maruf – e ci si trova taggati con le autorità per colpa di alcuni turchi, sostenitori del governo, che ci individuano e ci segnalano. Idem partecipando a manifestazioni per i diritti umani o contro la guerra. Se la Procura turca emanasse un provvedimento internazionale di arresto, in Italia sarebbe valido. O i vostri non ci consegnerebbero?”.

Molti curdi che arrivano in Italia si stabiliscono tra Milano e Varese, ce ne sono 4-5 mila. Tanti sono anche in Veneto, tra Padova e Mestre, e poi a Lodi, Modena e Bologna. Trovano quasi tutti lavoro, perché per un curdo lavorare è una religione.

“Sono diversi però i curdi in Italia che denunciano questa realtà di intimidazione – spiega Milena Ruffini, avvocato di Busto Arsizio (Varese) esperta in diritto dell’immigrazione -. La difficoltà che incontrano i giuristi è quella di tutelare i diritti umani costituzionali senza entrare in conflitto con la legislazione turca.

A maggior ragione il problema si pone quando ad essere inquisiti in Turchia per reati politici sono curdi diventati cittadini italiani e giudicati secondo la giurisdizione turca. E si complica ancor di più se i reati contestati sono stati commessi a mezzo social: in quel caso diventa controversa anche la competenza”.

(di Fabrizio Cassinelli/ANSA)

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