Trump voleva essere scagionato in tv, Barr disse di no

Il presidente Donald Trump stringe la mano al suo ministro di Giustizia William Barr. (diariolasamercias.com)

WASHINGTON. – Il gran rifiuto di William Barr. Il ministro della Giustizia americano, il cui rapporto sulle origini del Russiagate è atteso a giorni, subì pressioni da Donald Trump perché lo scagionasse in diretta tv da ogni illecito relativo all’Ucrainagate.

Barr avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa per dire davanti alle telecamere che nella telefonata tra il tycoon e il presidente ucraino Volodymyr Zelenski non c’era stata alcuna violazione della legge. Ma lui rifiutò.

A Trump insomma, come rivela il Washington Post, non bastava la dichiarazione già diramata dal Dipartimento di giustizia, in cui nero su bianco si escludeva da parte del presidente qualunque comportamento illegittimo nel corso della conversazione con Zelenski.

Dopo il 25 settembre, quando fu resa pubblica la trascrizione della telefonata, funzionari della Casa Bianca fecero pervenire un chiaro messaggio al ministro: il presidente avrebbe gradito un coinvolgimento personale diretto in sua difesa.

Ma Barr, pur essendosi dimostrato uno degli uomini più fedeli del tycoon, declinò l’invito. Per la prima volta, insomma, prese le distanze dal tycoon, e più volte in privato avrebbe espresso serie perplessità sullo spropositato ruolo politico assunto dall’avvocato personale di Trump, Rudi Giuliani.

Le nuove rivelazioni non fanno che appesantire ancor di più il clima attorno al presidente americano nel momento in cui, chiusa la prima fase delle testimonianze a porte chiuse, l’indagine per l’impeachment si appresta ad entrare nel vivo con lo show delle audizioni pubbliche in diretta tv, a partire dalla prossima settimana.

Nel tentativo di andare al contrattacco Trump ha chiamato quindi a testimoniare non solo la talpa che ha svelato i contenuti della telefonata con Zelenski, innescando la procedura di impeachment, ma anche i Biden. “Cosa ha fatto Hunter Biden per i soldi?”, ha twittato il tycoon riferendosi agli affari del figlio dell’ex vicepresidente in Ucraina: “Una buona domanda… – ha proseguito – lui e Sleepy Joe devono testimoniare!”.

Difficile che alla Camera, dove la maggioranza democratica ha il diritto di veto, tali richieste possano passare. Ma diverso potrebbe essere lo scenario se si arrivasse al proceso nell’aula del Senato, dove la maggioranza è repubblicana.

Insomma, è una mossa, quella di Trump, tesa soprattutto a mettere pressione sui democratici e sul principale avversario per le presidenziali del 2020, protagonista finora di una campagna elettorale opaca.

Il tycoon sa bene che se Biden e il figlio fossero davvero costretti a testimoniare le conseguenze sulla corsa alla Casa Bianca dell’ex vicepresidente sarebbero imprevedibili.

Intanto sembra che il presidente americano debba guardarsi le spalle anche dal suo vice Mike Pence. Almeno secondo il libro in uscita di quel funzionario anonimo autore della famosa lettera anti-Trump pubblicata due anni fa sul New York Times.

L’autore racconta come nel 2017 Pence era pronto a tradire Trump, sostenendo l’ipotesi del ricorso al 25mo emendamento che contempla la rimozione di un presidente per manifesta incapacità di governare.

Era dopo il maggio del 2017 quando, in seguito alle feroci polemiche per il siluramento del capo dell’Fbi James Comey, Trump sembrava a molti fuori controllo. E Pence, in pratica, sarebbe stato pronto a sostituirlo.

Del resto già nel 2016, in piena campagna elettorale, Pence si sarebbe rivolto al partito repubblicano dicendosi pronto a subentrare come candidato presidenziale. Era all’indomani dello scandalo ‘Access Hollywood’, con la famigerata registrazione in cui Trump parlava delle donne con termini offensivi e sessisti.

Pence, naturalmente, ha negato tutto: “Mai affrontata l’ipotesi del 25esimo emendamento”.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)