Economia circolare, 72 mila capi nuovi a famiglie povere

Un momento durante la preparazione dei kit di indumenti da distribuire. (torinotoday.it)

ROMA. – Recuperare la merce in eccedenza nei magazzini delle aziende del tessile, fiore all’occhiello del Made in Italy, per darla ai poveri, attivando una rete che coinvolge donne senza lavoro e detenuti.

L’idea è venuta a Intesa Sanpaolo e parte dalla necessità di reperire biancheria e scarpe per le famiglie povere. Capi “introvabili” nelle raccolte tradizionali. Allora, è l’idea, perché non rivolgersi alle aziende clienti della banca che producono calzature e indumenti per l’intimo, facendo leva sulla “social responsibility”?

Tutto è iniziato lo scorso anno. Piemonte e Veneto sono state le regioni pioniere. L’esperimento per gli organizzatori “è stato un successo”. Tanto che quest’anno verranno distribuiti 72 mila capi, circa il doppio del 2018, dal Nord al Sud, pasando per Basilicata, Calabria, Campania, Piemonte, Puglia e Veneto. Torino, Vincenza, Brindisi e Bari i centri di raccolta, dove indumenti e scarpe sono state confezionate in kit, circa 18 mila pacchi poi fatti arrivare alle famiglie tramite gli empori solidali della Caritas.

Ad aderire al progetto quattro aziende: Calzedonia, Camomilla Italia, Scarpe&Scarpe e Primadonna. La materia prima è arrivata direttamente dalle fabbriche. La novità sta proprio qui: si tratta di abbigliamento nuovo, non usato. Ma neanche calato dall’alto, perché nel packaging sono state coinvolte persone senza occupazione o in carcere.

L’obiettivo quindi è far scattare un meccanismo virtuoso per aggredire povertà ed emarginazione. Una sorta di economia circolare applicata in campo sociale.

“Intesa ha fatto da pivot” attivando la Caritas e le imprese clienti che hanno deciso di “donare le eccedenze di produzione”, spiega la responsabile valorizzazione del sociale e relazioni con l’università della banca, Elena Jacobs. “Da qui è partita una filiera” e ora “l’ambizione sia quella di rendere il progetto sempre più importante in termini numerici, anche per dare un reddito e un reinserimento alle persone che entrano in questa filiera”.

Il direttore della Caritas Italiana, don Francesco Soddu, racconta come questa esperienza abbia “fatto toccare con mano le opportunità nel gestire un indumento donato non solo per il bisogno che può coprire, ma in funzione delle risorse che può attivare, ad esempio in termini di inserimento lavorativo”.

(di Marianna Berti/ANSA)

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