L’Ue chiude agli hot spot in Libia: “Non è sicura”

Migranti al porto di Lampedusa. (Tullio M. Puglia, Getty Images)

ROMA. – La Libia non è un Paese sicuro: per questo il piano per aprire in loco hot spot per migranti sotto il controllo dell’Ue al momento “non esiste”, né “c’è modo di considerarlo in futuro”.

La Commissione europea chiude sul nascere, per bocca di un portavoce, a una delle possibili ipotesi sul tavolo del governo italiano per migliorare le condizioni dei migranti detenuti nei centri libici, ormai riconosciuti come veri e proprio lager, e “perfezionare” quell’accordo con Tripoli – firmato nel 2017 e rivendicato anche oggi dall’ex ministro Pd Marco Minniti – prossimo al rinnovo.

“Il memorandum con la Libia non può essere gettato in mare, ma ci sono ampi spazi per migliorarlo”, è la posizione ribadita dal premier Giuseppe Conte, sulla scia di quanto assicurato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, di fronte agli appelli di parlamentari – alcuni anche Cinquestelle – per cancellarlo del tutto.

“Un altro elemento che induce alla rinegoziazione è che c’è una situazione diversa ora, essendoci un conflitto”, ha aggiunto Conte riferendosi all’offensiva sull’ovest della Libia lanciata ad aprile dall’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar: offensiva militare che non ha risparmiato i centri per migranti provocando decine di morti.

D’accordo per modificare l’intesa il Pd, con la viceministra Marina Sereni che ha annunciato che “prima del 2 novembre partirà una nota del Ministero degli Esteri che chiede l’insediamento, come previsto dal memorandum, della commissione mista italo-libica per introdurre queste modifiche”.

Mentre i renziani di Italia Viva si sono detti “allibiti” dal fatto di non essere stati consultati “su un tema così delicato”.

Sulle modifiche al memorandum, che potranno essere fatte anche la scadenza per il rinnovo del 2 novembre, il governo giallorosso prevede comunque di riunirsi a un tavolo a Palazzo Chigi, ma dovrà soprattutto trovare una sponda europea – e libica – che non aveva trovato in passato.

L’idea di istituire centri per l’identificazione e la registrazione dei richiedenti asilo già nei Paesi di origine e di transito, con il supporto dell’Ue e delle agenzie Onu – e magari utilizzando i fondi destinati a Frontex -, non è del tutto nuova: il primo governo Conte la portò a Bruxelles già nel giugno dell’anno scorso, ma senza successo. I partner europei si dimostrarono freddi, ma a fare muro furono la stessa Libia, gli altri Paesi nordafricani e anche quei Paesi europei limitrofi all’Unione come i Balcani occidentali.

Nonostante l’iniziale contrarietà della Commissione, rispetto al 2018 Conte ora potrebbe contare su un’Europa più disponibile ad ascoltare le proposte italiane, nello spirito ad esempio dell’iniziativa di Malta per la redistribuzione dei migranti sbarcati, su una prima base volontaria di singoli Paesi che intendono aderire. Resta però il no della Libia.

“Non c’è nessuno a Tripoli disposto ad accettare di fare questi hot spot qui, nemmeno nel prossimo periodo”, ha detto all’ANSa un esponente di spicco libico, Ashraf Shah, riferendo della posizione del governo del premier Fayez al Sarraj.

Chiudono, critiche, all’intero memorandum e alle modifiche annunciate anche le ong che operano nel Mediterraneo e che bollano il rinnovo come “inaccettabile”.

(di Laurence Figà-Talamanca/ANSA)

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