Un voto per decidere la Brexit, elezioni a dicembre

Il premier britannico Boris Johnson pronuncia il suo discorso ai delegati alla Conferenza annuale del Partito Conservatore sotto lo slogan " Fate il Brexit". (AFP/ Ben STANSALL )

LONDRA. – Sarà un voto prima di Natale, a patto che lo stallo non si riproduca anche nelle urne, a decidere della Brexit e del futuro del Regno Unito nei prossimi anni.

Le elezioni anticipate invocate come ultima spiaggia dal governo Tory di Boris Johnson, dopo l’ultimo rinvio a Westminster dell’accordo di divorzio raggiunto a Bruxelles – e la nuova proroga di tre mesi dell’uscita dall’Ue obtorto collo incassata dai 27 oltre la scadenza del 31 ottobre a dispetto di tante promesse – hanno finalmente ricevuto il via libera anche delle opposizioni. Incluso il Labour di Jeremy Corbyn.

Si andrà dunque alle urne entro il 12 dicembre, secondo la modifica legislativa ordinaria messa ai voti ai Comuni. Legge da approvare a maggioranza semplice, dopo i tentativi a vuoto di una mozione d’auto-scioglimento che avrebbe richiesto i quorum  dei due terzi.

E messa in discesa dalla fine dell’ostruzionismo dei vari partiti d’opposizione, entrati ormai in competizione fra loro, oltre che con i conservatori: dapprima con lo spiraglio aperto a sorpresa dagli indipendentisti e dai liberaldemocratici, i due partiti pro Remain più radicali; poi col sì del governo ombra laburista, bellicoso quanto sofferto.

L’ultima rissa parlamentare ha riguardato gli emendamenti messi in cantiere soprattutto da alcuni deputati delle retrovie del Labour, in parte contrarie al voto immediato (e sotto la leadership di Corbyn): in particolare quelli sul possibile allargamento della platea elettorale ai giovani britannici di 16 e 17 anni e/o ai circa 3 milioni di cittadini Ue già residenti ne Regno.

Innovazioni sgradite al governo, e in grado sulla carta di penalizzare la parrocchia Tory, che tuttavia sono state respinte dal vice speaker Lindsay Hoyle, subentrato all’ormai dimissionario John Bercow, poiché inammissibili in relazione agli scopi limitati della legge; oltre che fuori linea rispetto alle raccomandazioni della Commissione Elettorale a non modificare le regole del gioco, almeno non sei mesi prima del voto (e rispetto alle norme degli altri Stati Ue).

L’unico vero braccio di ferro di questo sprint finale si è così concentrato sulla bandierina della data: il governo ha insistito per il 12 dicembre, l’opposizione ha controproposto il 9. Cambia poco.

La vera sfida è adesso quella della campagna elettorale. Una sfida che parte con i favori dei sondaggi per Boris Johnson,  oggi battagliero a Westminster e pronto a rigettare ancora una volta sull’ostinato ostruzionismo del Parlamento e sul rifiuto delle opposizioni di accettare il risultato del referendum del 2016 il mancato rispetto del suo impegno di far uscire il Regno dall’Ue il 31 ottobre come una questione “di vita o di morte”.

E deciso a invocare ora il giudizio del popolo sullo slogan “Get Brexit done”. L’ultimo sondaggio YouGov lo incoraggia, dando il  suo partito conservatore al 36%, con ben 13 punti di vantaggio sul 23% assegnato ai laburisti. I liberaldemocratici di Jo Swinson si attestano al 18, i concorrenti del Brexit Party di Nigel Farage al 12. Mentre in termini di popolarità personale, Johnson è indicato come primo ministro preferito addirittura da un 43% d’intervistati, con Corbyn secondo, ma lontanissimo al 20%.

Sky News nota peraltro come sondaggi simili dominassero la scena anche prima delle elezioni del 2017, salvo essere smentiti dai voti veri. Il problema di Boris sarà soprattutto quello di riuscire a portare a casa una maggioranza assoluta di seggi, per garantirsi la permanenza a Downing Street, se vorrà davvero realizzare la sua Brexit a urne chiuse: impresa per nulla scontata.

Dal fronte avverso, Corbyn cerca di ritrovare un po’ dello spirito da comizio del 2017, sparando a zero contro le politiche “sconsiderate” di BoJo e provando ad andare oltre una Brexit che divide il suo partito con la promessa di un programma di cambiamento radicale “mai visto” dai britannici sul piano economico e della giustizia sociale.

Le opposizioni, miracoli a parte, dovranno pero’ puntare al massimo su un Hung Parliament. Un Parlamento frammentato in cui cercare di mettere insieme una coalizione anti-Boris in grado, magari, di giocare la carta del secondo referendum: sull’uscita dall’Ue, ma anche sulla secessione della Scozia, se l’ipotetica alleanza multicolore dovesse necessitare dell’appoggio degli indipendentisti scozzesi dell’Snp.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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