Allarme Di Matteo e Ardita: “La mafia si può riorganizzare”

Il luogo della strage del 23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo.
Il luogo della strage del 23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo. (Franco Lannino. ANSA)

ROMA. – C’è il rischio di una “riorganizzazione di Cosa Nostra” e che riesca a raggiungere lo scopo che si era data con le stragi. “Nessun regalo alla mafia”; “nella sostanza cambierà pochissimo”. La sentenza della Consulta che apre ai permessi per gli ergastolani per mafia, oltre alla politica spacca anche la magistratura.

L’allarme più forte arriva da due consiglieri del Csm, in un recentissimo passato in prima linea nella lotta ai clan, Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita. “La sentenza della Consulta apre un varco potenzialmente pericoloso, ponendo fine all’automatismo che caratterizza l’ergastolo ostativo.

Dobbiamo evitare che si concretizzi uno degli obiettivi principali che la mafia stragista intendeva raggiungere con gli attentati degli anni ’92-’94”, avverte Di Matteo, che si augura che “la politica sappia prontamente reagire e approvi le modifiche normative necessarie ad evitare che le porte del carcere si aprano indiscriminatamente ai mafiosi e ai terroristi condannati all’ergastolo”.

Ardita, oggi presidente della Commissione penale del Csm sull’esecuzione penale e la sorveglianza, vede nella decisione il rischio di gravi conseguenze, a partire dalla “pressione” che le organizzazioni mafiose potrebbero esercitare sui magistrati di sorveglianza.

Anche se, spiega, la sentenza “non rappresenta di per sé il superamento di quel modello”, vale a dire l’assoluta chiusura nella concessione dei benefici ai mafiosi che non collaborano, ma “rimette al legislatore il compito di modulare in concreto l’ampiezza di questa innovazione”.

Ecco perché il Parlamento deve “mantenere fermo il sistema della prevenzione antimafia” e “impedire che quella che dovrebbe essere una eccezione diventi una regola, che va a beneficio di personaggi capaci di riorganizzare Cosa nostra e non rivolta a chi sta fuori dalla organizzazione”.

Di parere opposto è Armando Spataro, anche lui storico magistrato oggi in pensione che ha contrastato con importanti indagini le mafie e il terrorismo. Quella della Consulta, dice l’ex capo della procura di Torino e ex procuratore aggiunto a Milano, è una sentenza “assolutamente condivisibile, che non introduce alcun automatismo favorevole ai mafiosi condannati all’ergastolo, rimettendo alla magistratura di Sorveglianza l’accertamento della dissociazione da logiche mafiose di simili detenuti”.

Ed inoltre, elemento di non poco conto, “rispetta i “principi fondamentali sottesi alla finalità di recupero del detenuto”. Per questo, dice Spataro, “spero non vi siano da registrare le solite reazioni di chi parla di un regalo alla mafia, il che sarebbe sbagliato pensando a chi la mafia l’ha contrastata sapendo che anche il mafioso può cambiare”.

In una posizione intermedia c’è Alfonso Sabella, in passato nel pool antimafia a Palermo. La sentenza, dice, “nella sostanza cambierà pochissimo: si tratta di una decisione “equilibrata e intelligente” perché “lascia uno spazio per mantenere inalterato l’istituto” e allo stesso tempo “dà una chance all’ergastolano”. Ma il punto è un altro, secondo Sabella: serve un intervento del Parlamento perché è necessaria una “norma salvamagistrati”.

In sostanza, se si dà ad un solo magistrato la discrezionalità di valutare se è a favore o contro un permesso, lo si espone troppo. Dunque serve una “competenza collegiale” per non “personalizzare la decisione” e “diluire le responsabilità tra i magistrati e quindi proteggerli”.

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