Lite di Conte con Erdogan: “Ritira le truppe dalla Siria”

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte parla al telefono nel suo ufficio.
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte parla al telefono nel suo ufficio. (Ufficio Stampa Presidenza del Consiglio)

ROMA. – Una telefonata “tesa”, durata oltre un’ora per ribadire senza riserve la condanna italiana all’intervento turco in Siria, la conseguente “grave crisi umanitaria” e chiedere “l’immediato ritiro delle truppe”. Il premier Giuseppe Conte parla a lungo con il presidente turco poche ore prima dell’incontro tra Recep Tayyip Erdogan e il vicepresidente americano Mike Pence che si conclude con l’annuncio di una tregua di 120 ore per il ritiro dei curdi.

Quando Conte telefona a Erdogan, in mattinata, le operazioni militari sono ancora in corso e il premier dice molto francamente, da paese membro della Nato e dunque alleato, quello che pensa dell’intervento nel nord della Siria. “E’ un grave errore politico”, scandisce dopo le iniziative prese nelle ultime settimane dall’Italia e dai partner europei sull’embargo delle armi e mentre il Consiglio europeo prepara la condanna di fronte ad un’iniziativa unilaterale che sta provocando un disastro.

Erdogan, da giorni sordo agli appelli internazionali, non arretra e fa a Conte una lunga cronistoria sulle azioni del terrorismo curdo e sui rischi per il suo paese. “Sto agendo sulla base di ragioni di sicurezza”, ribadisce, elencando le centinaia di colpi di mortaio che attraversano il confine ogni mese. E assicurando che si tratta di un’iniziativa chirurgica, che mira solo a colpire i terroristi. Obiezione di fronte alla quale Conte torna a sottolineare la crisi umanitaria aperta in appena due settimane, con migliaia di sfollati in fuga, a fronte di un’azione che l’Italia non si stanca di definire “inaccettabile”. Un botta e risposta a tratti duro, lungo e faticoso, appesantito inevitabilmente dalla continua traduzione dall’italiano al turco e viceversa.

“Ho ribadito – dirà poi Conte al suo arrivo a Bruxelles – il fermo e risoluto invito dell’Italia ad interrompere questa iniziativa militare, gli ho chiesto di ritirare le truppe e farle rientrare sul territorio turco. Riteniamo che questa sia la soluzione. Questa iniziativa rischia di destabilizzare un territorio e una comunità già provata” e di creare “ulteriori sofferenze ai curdi e ai siriani”, ha aggiunto.

Quella di Conte è una telefonata soprattutto politica, assicura chi vi ha partecipato. Perché Conte ha voluto sottolineare di parlare da alleato Nato oltre che da premier di un Paese con solidi e storici rapporti bilaterali ed economici con Ankara. Consapevole che una cesura netta non conviene a nessuno, all’Europa e all’Italia, non solo per il dossier rifugiati ma anche per gli importanti rapporti economici, ma neppure alla Turchia, che rischia di rimanere isolata.

Una posizione “unitaria” quella che Conte ha espresso a Erdogan, come sottolinea una nota di palazzo Chigi, “non solo del governo ma anche delle forze politiche con cui ieri si è confrontato durante il suo passaggio alle Camere e dell’opinione pubblica italiana”. L’Italia insomma è compatta su questo dossier e non ci sono divisioni. Semmai l’accusa è di fare poco.

E arriva ovviamente dal leader della Lega Matteo Salvini. “Un’Europa smidollata e un’Italia ancora di più smidollata – ha attaccato – hanno imposto le sanzioni contro la Russia per l’annessione della Crimea figlia di un referendum, qui c’è gente che massacra, bombarda e stermina e stiamo ad osservare le stelle”. Mentre a Roma il dibattito è in corso e a Bruxelles i leader a cena discutono quali iniziative prendere cercando unità, da Ankara arriva la notizia della tregua, con l’auspicio che, dopo il ritiro dei curdi, si trasformi nella fine delle operazioni.

(dell’inviata Paola Tamborlini/ANSA)