Trump sanziona il governo turco e rialza i dazi sull’acciaio

Nella foto d'archivio un soldato americano nella base in Siria. (ANSA/AP Photo/Hussein Malla, File)

WASHINGTON. – Rimasto da solo col cerino che lui stesso ha acceso in Siria ritirando le truppe Usa, criticato anche dai suoi più fedeli alleati repubblicani, Donald Trump corre ai ripari annunciando su Twitter un ordine esecutivo a breve con un pacchetto di sanzioni che a suo avviso potrebbero mettere in ginocchio l’economia turca.

Si tratta di sanzioni personali contro non meglio precisati “dirigenti ed ex dirigenti del governo di Ankara e chiunque contribuisca alle azioni destabilizzanti della Turchia nel nordest della Siria”. Ma anche di un aumento dei dazi sull’acciaio sino al 50%, come prima della riduzione di maggio. Inoltre gli Usa metteranno fine ai negoziati per un accordo commerciale da 100 miliardi di dollari.

Il capo del Pentagono Mark Esper ha quindi annunciato che la prossima settimana gli Stati Uniti chiederanno alla Nato di prendere misure collettive e individuali, economiche e diplomatiche contro la Turchia per la sua “inaccettabile” offensiva in Siria, che minano la lotta all’Isis.

Il provvedimento di Trump consentirà di introdurre anche “altre potenti sanzioni a coloro che sono coinvolti in gravi abusi dei diritti umani, che ostacolano il cessate il fuoco, impediscono agli sfollati di ritornare a casa, rimpatriano forzatamente i rifugiati o minacciano la pace, la sicurezza o la stabilità in Siria”.

“Sono totalmente pronto a distruggere rapidamente l’economia turca se i leader turchi continuano su questa strada pericolosa e distruttiva”, minaccia il tycoon. “La Turchia non deve mettere a rischio” i risultati della lotta all’Isis, dopo la liberazione del 100% del territorio del Califfato, avvisa il presidente.

“Sono stato perfettamente chiaro con il presidente Erdogan: le azioni della Turchia stanno accelerando la crisi umanitaria e preparando le condizioni per possibili crimini di guerra”, ammonisce.

“La Turchia deve garantire la sicurezza dei civili, incluse le minoranze religiose ed etniche, ed è ora, o forse in futuro, responsabile per la detenzione di terroristi dell’Isis nella regione”, prosegue. Infine assicura che le truppe Usa ritirate dalla Siria “saranno ora schierate altrove e resteranno nella regione a monitorare la situazione e a prevenire che si ripeta quanto successo nel 2014, quando la minaccia trascurata dell’Isis si è diffusa attraverso la Siria e l’Iraq”.

Inoltre “un piccolo numero di forze Usa resterà nella base di Al Tanf nel sud della Siria per continuare a eliminare ciò che resta dell’Isis”.

Ma ormai la frittata sembra fatta. E Trump continua a lanciare messaggi contraddittori, provocatori o imbarazzanti sui curdi, alleati Usa nella lotta all’Isis ora abbandonati all’ offensiva di Erdogan. “Chiunque voglia aiutare la Siria a proteggere i curdi va bene per me, che sia la Russia, la Cina o Napoleone Bonaparte. Spero che tutti facciano bene, noi siamo a 7000 miglia di distanza”, cinguetta, dopo aver difeso la decisione di ritirare le truppe come “una scelta intelligente”.

Ma ora sono tutti contro di lui, compreso l’establishment del partito. “Abbandonare questa battaglia ora e ritirare le forze Usa dalla Siria ricreerà le condizioni per la cui eliminazione abbiamo lavorato duro e causerà la rinascita dell’Isis”, ha accusato il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell, finora uno dei più stretti alleati del presidente. “Un ritiro del genere – ha rincarato – creerà anche un più ampio vuoto di potere in Siria che sarà sfruttato da Iran e Russia, un esito catastrofico per gli interessi strategici degli Stati Uniti”. Altro che ‘America first’.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)