La minaccia di Xi Jinping: “Faremo a pezzi i separatisti”

Un poliziotto usa spray al peperoncino contro i manifestanti. (EPA/VIVEK PRAKASH)

PECHINO. – La Cina è pronta ad agire e a spazzare via i promotori ed i tentativi di divisione del Paese.  “Chiunque sia impegnato in spinte separatiste in qualsiasi parte della Cina sarà ridotto in polvere e fatto a pezzi. Ogni forza esterna che supporta la divisione della Cina s’illude”.

Le parole, durissime, dette domenica dal presidente Xi Jinping nel suo incontro col premier nepalese K.P. Sharma Oli, non lasciano grandi margini interpretativi nel mezzo delle sfide politiche di Pechino tra le proteste anti governative e pro-democrazia sempre più violente di Hong Kong, le critiche Usa approdate all’Onu sulla situazione delle minoranze musulmane dello Xinjiang, la spinta indipendentista di Taiwan e il complesso capitolo del sudovest, tra il Tibet e l’Himalaya.

Xi, rientrato a Pechino domenica sera dopo la prima visita in 22 anni di un presidente cinese in Nepal, ha sferrato il pesante attacco a due passi dalle velleità residue indipendentiste del Tibet e in un’area molto problematica visto che Pechino ha altre dispute territoriali nell’area himalayana fino a rivendicare un pezzo di Kashmir, la grande regione contesa da India e Pakistan.

Il premier nepalese ha assicurato che il suo Paese, al confine con il Tibet, “non avrebbe permesso ad alcuna forza di usare il suo territorio per attività separatiste contro la Cina”. Un impegno rilevante dato che il Nepal ospita circa 20mila tibetani.

Prima di Kathmandu, Xi ha avuto il secondo incontro informale con il premier indiano Narendra Modi con un’agenda comprensiva dei nodi Kashmir e Tibet. La Cina inviò in quest’ultima regione remota le sue truppe nel 1950 per quella che è presentata come “liberazione pacifica”.

Il Dalai Lama, il leader spirituale, si rifugiò nel 1959 in India dopo un tentativo fallito di rivolta contro il potere centrale, mentre Pechino mantiene l’accusa nei suoi confronti di spinte reazionarie per rendere autonoma l’area che vale quasi un quarto di tutto l’attuale territorio cinese.

Anche oggi, dopo un weekend ad alta tensione e con la polizia che ha denunciato il primo uso di una bomba artigianale, sono andate in scena altre proteste. Gli agenti hanno adoperato spray al peperoncino fuori dalla Hong Kong Station; barricate sono state erette vicino a Exchange Square; e decine di migliaia di persone hanno partecipato in serata al raduno di Chater Garden.

Hanno sventolato bandiere a stelle e strisce, scandito cori pro-democrazia e sollecitato il Congresso americano ad approvare l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act che punirebbe, tra sanzioni e restrizioni ai visti d’ingresso negli Usa, funzionari locali e cinesi accusati di violare i diritti umani nell’ex colonia britannica.

Dopo il via libera delle commissioni Esteri di Camera e Senato di settembre, l’esame del testo delle due aule inizierà a breve: mercoledì approderà già alla Camera.

Pechino ha condannato la mossa bollandola come “ingerenza in vicende interne”, promettendo una dura reazione contro qualsiasi azione che metta a rischio l’integrità e gli interessi del Paese. E Xi lo ha ricordato da Kathmandu, fedele alla promessa rinnovata più volte: “Neanche un centimetro di territorio ereditato dagli antenati sarà perduto”.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)