Trump minaccia sanzioni ma Erdogan non ferma la guerra

Rennacchi di fumo nero sulla cittá di Ras al-Ein, Siria, dopo i bombardamenti dell'esercito turco (EFE)

ISTANBUL.  Gli Stati Uniti “incoraggiano fortemente” la Turchia a porre fine alle azioni militari contro i curdi, minacciando altrimenti “severe sanzioni” che hanno già avuto il via libera di Donald Trump. Di ora in ora si fa sempre più forte la condanna internazionale per l’offensiva di Ankara nel nord-est della Siria.

L’ultimo monito è giunto da Washington, mentre anche in Europa cresce la spinta per l’imposizione di misure punitive al governo di Recep Tayyip Erdogan se non cesserà le ostilità. E intanto, Olanda e Paesi scandinavi hanno già deciso di sospendere la vendita di armi al suo esercito.

Ma incurante delle minacce, il Sultano in serata ha assicurato che la guerra continua: “Qualunque cosa dicano, non faremo passi indietro”, ha avvertito.

La minaccia di sanzioni americane, già ventilata nei giorni scorsi da Trump in caso di superamento dei “limiti”, è stata rilanciata oggi dal segretario al Tesoro Steve Mnuchin, che ha spiegato che la Casa Bianca ha già dato l’autorizzazione anche se “non scatteranno subito”.

“La possibilità di imporre sanzioni alla Turchia è sul tavolo e l’Ue ne discuterà al Consiglio europeo della settimana prossima”, ha detto anche la viceministra francese per gli Affari europei, Amelie de Montchalin, secondo cui “non si può rimanere impotenti di fronte a una situazione scioccante per i civili, per le forze siriane per 5 anni al fianco della coalizione anti-Isis, ma soprattutto per la stabilità della regione”.

I timori crescono anche sul destino dei jihadisti detenuti nelle prigioni curde. Cinque di loro sarebbero riusciti a fuggire dopo un raid aereo turco sulla prigione di Qamishli. Da Bruxelles si parla di “seria preoccupazione”.

Timori espressi anche da Vladimir Putin, nonostante i rapporti stretti con Erdogan. C’è il rischio che i miliziani oggi detenuti nelle carceri curde “possano fuggire. Non sono sicuro che Ankara possa prendere il controllo della situazione”, ha detto il presidente russo, secondo cui la regione curda sarebbe più sicura nelle mani del suo protetto Bashar al Assad.

Sul terreno la situazione si fa sempre più allarmante. Gli sfollati interni provocati dall’offensiva sono ormai decine di migliaia, 100 mila secondo un calcolo dell’Onu. Medici Senza Frontiere ha fatto sapere di aver dovuto interrompere le sue attività nell’ospedale di Tal Abyad, cuore dell’offensiva turca, che serve circa 200 mila persone, e ridurre altri soccorsi nella regione.

Le vittime civili sono ormai decine. Almeno 9 quelle accertate in territorio turco, tra cui 5 minori, tutte colpite da razzi e colpi di mortaio sparati dai combattenti curdi verso le località fontaniere, dove oggi sono rimasti leggermente feriti anche due reporter turchi.

Mentre i martellamenti dei caccia e dell’artiglieria di Erdogan proseguono, e il suo esercito rivendica di aver “neutralizzato” (cioè ucciso, ferito o catturato) 342 miliziani curdi in 48 ore e di essere entrato fino a 8 km nell’entroterra siriano dal lato di Tal Abyad, si contano anche le prime due vittime ufficialmente riconosciute tra i soldati di Ankara.

Una destabilizzazione che non risparmia le zone circostanti: a ovest dell’Eufrate, in un’area della Siria già sotto controllo turco dal 2016, altri due militari sono morti ad Azaz, mentre a Qamishli, una delle città più popolose del nord della Siria, a est dell’offensiva, è esplosa nel pomeriggio un’autobomba che secondo l’amministrazione curda ha provocato “diverse vittime”.

Non si ferma neppure la repressione del dissenso interno in Turchia. Almeno 121 persone sono finite in manette per i loro post sui social media critici verso l’operazione militare, e quasi 500 sono quelle messe sotto indagine con l’accusa di “propaganda terroristica”.

(di Cristoforo Spinella)

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