Rivolta repubblicani contro Trump: “Curdi traditi”

Un plotone d'artiglieria turca in un campo militare al confine con la Siria. (parabolica.mx)

WASHINGTON. – Un tradimento, una decisione vergognosa, un errore strategico catastrofico. Ora che le tv mostrano le immagini delle forze di Ankara che sferrano l’attacco nel nord della Siria per Donald Trump si apre un nuovo pericoloso fronte interno, dopo la battaglia sull’impeachment.

E stavolta a vacillare è quel blocco che finora ha tenuto e lo ha sostenuto, con l’ira di molti repubblicani, soprattutto in Senato, che potrebbe sfociare in una vera e propria rivolta.  Ipotesi che in questa delicatissima fase potrebbe rivelarsi fatale per il tycoon.

Ad accusare il presidente americano di aver abbandonato gli alleati curdi, fondamentali nella lotta all’Isis, non sono solo i soliti noti, quelli che nel partito non hanno mai digerito il tycoon alla Casa Bianca e non perdono occasione per criticarlo, vedi Mitt Romney.

Stavolta ad alzare la voce contro la Casa Bianca c’è quasi l’intero establishment del Grand Old Party, come il leader al Senato Mitch McConnell, e molti dei repubblicani fino ad oggi più fedeli al presidente, vedi la deputata Liz Cheney, figlia dell’ex vice presidente Dick Cheney.

E a guidare i senatori ribelli c’è uno dei più forti e affidabili alleati politici di Trump, il senatore Lindsay Graham, che ha chiesto esplicitamente al presidente di riconsiderare le sue decisioni “finché si fa ancora in tempo”.

Ma il tempo in realtà sembra ormai fuggito. Il tycoon, nel corso di una frenetica giornata alla Casa Bianca, viene aggiornato costantemente su cosa succede al confine tra Turchia e Siria e come tutti guarda le immagini in tv.

E, dopo la consueta raffica di tweet della mattinata, prova a calmare le acque con una dichiarazione in cui spiega che “gli Stati Uniti non appoggiano l’attacco turco in Siria”, assicurando che ad Ankara è stato detto che le operazioni militari avviate “sono una cattiva idea”.

Difficile che questo riuscirà a placare la rabbia che monta per una decisione, quella di ritirare le truppe Usa dal nord della Siria, che viene vista da tutti come una minaccia alla sicurezza nazionale (basti pensare alle migliaia di prigionieri dell’Isis che potrebbero fuggire) e come una mina sulla credibilità dell’America agli occhi di tutti gli alleati.

Tanto più che con le sue parole il presidente americano non chiarisce affatto qual è l’eventuale linea rossa che Ankara non dovrà superare.

Ma Trump diventa furioso soprattutto quando qualcuno paragona la sua linea oscillante in Siria alle incertezze della strategia di Barack Obama, per il tycoon quasi un insulto. Continua a ripetere che gli Usa non sono i poliziotti del mondo, che non poteva mettere a rischio i soldati americani, che è ora di dire basta alle guerre senza fine e che l’Europa deve riprendersi i suoi foreign fighters catturati dalle truppe americane.

I critici però lo accusano dell’ennesimo inchino all’uomo forte di turno, quel Recep Tayip Erdogan che il tycoon, nonostante tutto, ha invitato alla Casa Bianca il prossimo 13 novembre. Che tra i due leader burrascosi e molto pieni di sé ci siano delle somiglianze e un certo feeling è fuor di dubbio.

Ma in molti già lo avvertono che mettere l’amicizia con Erdogan al di sopra della linea indicata da Pentagono, Dipartimento di stato, esercito, ma soprattutto al di sopra dell’interesse nazionale, è una strada molto pericolosa.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)