Mostre: incerti e sospesi, gli Anni Venti in Italia

Mostra Anni venti al Palazzo Ducale di Genova.
Mostra Anni venti al Palazzo Ducale di Genova. (ANSA)

ROMA. – Non solo ruggenti. Incerti, sospesi, dominati dall’ inquietudine. Gli Anni Venti per l’ arte italiana furono un tempo cruciale. Il furore delle avanguardia futurista dal 1909 aveva scardinato i vecchi schemi della produzione artistica coinvolgendo in breve altri campi della scena culturale. Poi la prima guerra mondiale con il suo carico di lutti e sconvolgimenti segnò le coscienze in profondità.

Dopo la fine del conflitto pittori e scultori si divisero tra chi non volle abbandonare la sfida legata ai nuovi percorsi e i fautori del “ritorno all’ ordine”, intenzionati a recuperare la lezione dei maestri dell’antichità, a partire da Piero della Francesca, o a scegliere la strada dell’ intimismo e dell’ introversione.

Su quell’epoca convulsa e difficile concentra l’attenzione la mostra “Gli Anni Venti in Italia. L’età dell’incertezza”, a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone, dal 5 ottobre al 1 marzo 2020, a Palazzo Ducale di Genova.

E’ un viaggio affascinante attraverso un centinaio di opere provenienti da importanti musei, gallerie e collezioni private, per descrivere, appunto, il passaggio dal trauma della Grande Guerra, con la fine dei punti fermi e dell’ottimismo, alla crisi mondiale degli Anni Trenta, anticipata dal crollo di Wall Street dell’ottobre del 1929 e l’ascesa dei regimi dittatoriali che portarono alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale.

A creare il clima di incertezza individuale e collettiva – sottolineano i curatori – fu un insieme di elementi: il Fascismo e la svolta autoritaria, l’ instabilità internazionale, le spinte ai cambiamenti culturali, di costume e nei rapporti tra i sessi ereditate dalla Belle Epoque.

L’arte rispose con “un’ampia varietà di declinazioni linguistiche, una vasta gamma di enigmatiche rappresentazioni di attesa, ma che alimentò pure – nell’aspirazione a una fuga verso l’altrove – l’esplorazione di universi spirituali, irrazionali e onirici, l’evasione verso dimensioni edonistiche e l’aspirazione a un ritorno al passato”.

Il racconto si snoda in nove sezioni. Dai Volti del Tempo – una lunga galleria di ritratti per mano di Gino Severini, Giorgio de Chirico, Felice Casorati, Achille Funi, Baccio Maria Bacci, Ubaldo Oppi, Carlo Levi, Alberto Savinio, Fillia, Pippo Rizzo – al capitolo dedicato alla fine della guerra, quando la retorica propagandistica concentrò l’ attenzione sull’edificazione di sacrari, cimiteri e monumenti in memoria dei combattenti e “distolse la popolazione da una cosciente elaborazione del lutto, privilegiando la celebrazione dell’eroe”.

Sotto il tema dell’attesa ecco la pittura di silenzio, incanto e stupore di Carlo Carrà, Antonio Donghi, Felice Casorati, Virgilio Guidi, Piero Marussig, Ottone Rosai, Cagnaccio di San Pietro, Arturo Martini. Il clima di disagio psicologico e di tensione sociale determinati anche dalle trasformazioni tecnologiche è espresso da Mario Sironi e Leonardo Dudreville.

La dimensione dell’angoscia e dell’incubo, conseguenza delle esperienze traumatiche provocate dalla guerra, è affidata ai dipinti di Primo Conti, Gigiotti Zanini e Scipione, Alberto Martini e Dario Wolf. Per la celebrazione futurista della macchina ecco Mafarka il futurista di Filippo Tommaso Marinetti, il manifesto del 1922 “L’ arte meccanica” di Enrico Prampolini, Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini, fino all’ eloquente “L’angoscia delle macchine” di Ruggero Vasari, del 1925.

L’uomo che si trasforma in marionetta o macchina si ritrova nelle opere di Gino Severini, Gian Emilio Malerba, Adolfo Wildt, per arrivare a Fortunato Depero, Nicolaj Diulgheroff, Mino Rosso, Thayaht. E poi la grande pagina della nostalgia e del passato di Achille Funi e Felice Carena, e il fascino di ricerche mistiche, magiche e misteriose, come, pur nelle differenze, per Tullio Garbari, Sironi, Ferruccio Ferrazzi.

Chiudono la mostra le opere riferite ai “ruggenti anni venti” intesi dall’immaginario culturale d’oltreoceano come epoca di spensieratezza, bellezza e edonismo vissuta nelle principali capitali europee prima del tracollo. “L’esplosione di eleganza e lusso, voglia di divertimento e evasione – sottolineano i curatori – proprio nella sua dimensione effimera, rappresentò l’altra faccia dell’età dell’incertezza”.

” Gli anni venti – scrive nel testo in catalogo Fabio Benzi – si muovono un po’ ovunque secondo indirizzi disparati, contrapposti, tra utopia e fuga dalla realtà, tra pessimismo e ottimismo, tra classicismo ed espressionismo, tra astrazione e realismo. Spesso intrecciandosi: ed è questa ambiguità che rende così originale ed unico quel periodo, dove emerge una varietà di istanze che rende l’arte italiana una delle espressioni collettive più alte del tempo, in continuo, quasi ossessivo dialogo con l’Europa”.

(di Luciano Fioramonti/ANSA)