Turchia: Erdogan perde i pezzi, Davutoglu lascia l’Akp

Il Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan stringendo la mano al Primo ministro Ahmet Davutoglu nel maggio del 2016.
Il Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan stringendo la mano al Primo ministro Ahmet Davutoglu nel maggio del 2016. (Ufficio Stampa Presidenza della Turchia)

ISTANBUL. – Del presidente Recep Tayyip Erdogan era stato il delfino prediletto. Nelle sue mani, il leader turco aveva affidato prima le chiavi della politica estera neo-ottomana, ispirata alla grandeur imperiale, e poi direttamente quelle del governo e del partito, quando aveva dovuto cederne la guida per obblighi costituzionali dopo l’elezione a capo dello Stato.

Ora Ahmet Davutoglu ha spezzato definitivamente la corda che lo legava al capo, annunciando le sue dimissioni dall’Akp. È il culmine di un allontanamento che l’aveva portato fino ad accusare Ankara di agire in modo “contrario allo spirito democratico”.

“L’Akp non può più raggiungere i nostri obiettivi, formeremo un nuovo movimento politico”, ha spiegato l’ex premier. Che in realtà stava già per essere espulso dopo il deferimento la scorsa settimana al consiglio di disciplina del partito con altri tre ex deputati a lui vicini.

Dissidenti che Erdogan ha bollato come “traditori”. Ma non cambia la sostanza di una rottura vaticinata da mesi, se non anni. Lo strappo era iniziato con le dimissioni da primo ministro nel 2016, poco prima del fallito golpe. Poi un lungo e assordante silenzio pubblico.

Messo all’angolo, Davutoglu non ha saputo (o potuto) sfidare Erdogan quando era all’apice del successo. Ora viene fuori insieme a una fronda interna arricchita da nomi sempre più pesanti, che puntano ai delusi tra i moderati e riformisti islamici di centro-destra.

Quest’estate aveva già lasciato l’Akp l’ex ministro delle Finanze Ali Babacan, definito lo zar dietro la crescita economica degli anni d’oro della Turchia. Anche lui prepara un nuovo partito per l’autunno, con la benedizione dell’ex presidente Abdullah Gul. Una formazione che strizzerebbe l’occhio ai liberali.

Stando ai sondaggi con più consenso di quella di Davutoglu, il professore teorico di una strategia di “zero problemi con i vicini” che nei fatti ha visto il suo slogan rovesciarsi. Ed è probabile che come architetto della politica estera nel periodo delle Primavere arabe e dell’inizio della guerra in Siria gli elettori gli chiedano conto dei quasi 4 milioni di rifugiati arrivati da allora, o degli spericolati ammiccamenti agli insorti anti-Assad.

Per Erdogan, dopo gli schiaffi presi dall’opposizione alle amministrative a Istanbul e Ankara, è arrivata l’ora di fare i conti con i nemici interni.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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