Rapporto segreto del governo svela l’incubo del no deal

Brexit no deal
Ipotetiche manifestazioni, razionamenti e tumulti di piazza figurano in un rapporto degli esperti nel caso di un Brexit no-deal. (Telesur)

LONDRA.  – Immagini di caos, forse di razionamenti, persino di tumulti di piazza: va in scena l’incubo delle conseguenze possibili di una traumatica Brexit no deal, sul Regno Unito e sulla sua gente, visto con gli occhi degli esperti di quello stesso governo Tory di Boris Johnson che pure l’epilogo d’un taglio netto dall’Ue continua a non escluderlo.

A tratteggiarne i contorni futuribili, secondo uno scenario considerato estremo, ma non irrealistico, è un rapporto segreto pubblicato obtorto collo dall’esecutivo in forma integrale – con l’eccezione di 15 righe di omissis – in queste ore.

Il contesto è quello di un’ipotetica operazione denominata Yellowhammer, dal nome di un uccello della famiglia dei passeri (in italiano zigolo giallo) dall’aspetto tutt’altro che inquietante, salvo non raffigurarselo impazzito in un film alla Alfred Hitchcock.

Ossia del panorama che ci si potrebbe aspettare, nel più cupo dei casi, laddove il divorzio da Bruxelles previsto sulla carta per il 31 ottobre avvenisse davvero da un giorno all’altro: senz’accordo e senza reti di protezione normative immediate.

Il documento, trapelato in parte sul Times nelle settimane scorse, era stato liquidato inizialmente come roba vecchia da Michael Gove, il ministro incaricato da Johnson proprio d’intensificare i preparativi per contenere i contraccolpi di un’eventuale hard Brexit.

Ma il testo completo, rilasciato sulla base di una mozione imposta dalla Camera dei Comuni, dimostra che risale in effetti ad appena un mese fa, ai primi di agosto, quando l’attuale gabinetto era già in sella.

E i suoi contenuti appaiono ancor più allarmanti rispetto a quanto paventato nelle anticipazioni: con timori di “approvvigionamenti ridotti” e penuria temporanea di cibi freschi e alimentari; intoppi fino a 6 mesi nell’importazione di vari medicinali; una fase di aumento dei prezzi, dall’elettricità a diversi generi di largo consumo, concentrati sulle persone a basso reddito; code di tir ai porti sulla Manica; Gibilterra nella paralisi al pari di Dover; disordini potenziali in Irlanda del Nord; atmosfera da scontro frontale anche altrove fra dimostranti anti e pro Brexit.

Un clima insurrezionale o quasi, insomma, sebbene il governo cerchi di minimizzare il senso di quelle pagine horror. “Ciò che vi leggiamo è solo il peggiore degli scenari, a cui è lecito attendersi che qualunque governo si prepari”, commenta Johnson; “ma nella realtà – assicura come nulla fosse – noi saremo sicuramente pronti per una Brexit no deal se dovremo affrontarla. E preciso che non è il fine a cui tendiamo”.

Toni riecheggiati dal ministro Gove, che si aggrappa fra l’altro ai fondi miliardari stanziati in più da agosto e alle ulteriori misure approntate nel frattempo per “mitigare” i rischi.

Il rapporto fa tuttavia riferimento al contesto descritto sì come allo “scenario peggiore”, ma pur sempre a uno scenario “ragionevole”. Di qui la reazione del leader laburista, Jeremy Corbyn, che accusa Johnson di essere concretamente pronto a far pagare il prezzo della visione d’una Brexit “do or die” (ossia questione di vita o di morte) soprattutto ai più poveri fra i britannici e ai malati.

Mentre il ministro ombra Keir Starmer afferma che il rapporto Yellowhammer rende “più necessaria che mai la riconvocazione del Parlamento”: tuttora chiuso – malgrado la sentenza di ieri di tre giudici scozzesi che hanno decretato come illegale la contestata sospensione (o prorogation) voluta dal premier fino al 14 ottobre e malgrado le proteste fatte proprie pure dal neo presidente dell’assemblea di Strasburgo, David Sassoli – in attesa del ricorso finale dinanzi alla Corte Suprema del Regno.

Ricorso dirimente, stando al primo ministro (pronto intanto a giurare di non aver “assolutamente” mentito alla regina inducendola col suo ‘advice’ a mettere la firma sotto la prorogation), visti i verdetti favorevoli all’esecutivo emessi parallelamente sia dall’Alta Corte di Londra, sia, oggi, da quella di Belfast. E che “dovrà avere l’ultima parola”.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)