La produzione industriale cala ancora, l’Italia si ferma

Un operaio camminando in un deposito di materiale industria meccanica..
Un operaio camminando in un deposito di materiale industria meccanica.. EPA/FOCKE STRANGMANN

ROMA. – L’industria italiana segna il passo e non lascia presagire nulla di buono per l’andamento complessivo dell’economia. A luglio, per il secondo mese consecutivo, la produzione ha ingranato la retromarcia, registrando un calo dello 0,7%. L’ennesimo segnale di rallentamento che pesa come un’ipoteca sul Pil di fine anno.

Quasi in un paradosso, le stime più ottimistiche appaiono quelle di Moody’s. Il +0,2% annunciato per quest’anno per l’economia italiana, pur dimezzato rispetto al precedente +0,4%, si allinea con le vecchie stime del governo contenute nel Def di aprile (soggette ad aggiornamento nella Nota attesa tra due settimane), ma supera quelle sempre più diffuse tra gli analisti e i centri studi di una crescita piatta o al massimo dello 0,1%.

Che il destino dell’Italia sia di archiviare l’anno nel segno della stagnazione sembra insomma ormai scontato, soprattutto alla luce dei dati, in alcuni casi anche peggiori di quelli italiani, in arrivo dalla Germania. L’industria made in Italy non potrà contare sul tradizionale effetto traino di quella tedesca e dovrà in un certo senso cavarsela con le proprie forze.

Impresa non facile, considerando che a luglio tutti i comparti ad eccezione dell’energia hanno registrato il segno meno, con il settore automobilistico crollato del 14% tra luglio 2018 e luglio 2019 e di quasi il 15% nei primi sette mesi dell’anno.

L’eredità con cui il governo dovrà fare i conti a partire dalla prossima legge di bilancio non sarà quindi semplice. Moody’s promuove la stabilità politica che la nascita del Conte-bis lascia intravedere, prevede una minore conflittualità con l’Europa e confida in un’accelerazione della crescita nel 2020 a +0,5%. Allo stesso tempo però denuncia la mancanza di un’agenda di politica economica coerente e sopratutto la difficoltà di far scendere il debito pubblico.

Nonostante le rinnovata fiducia dimostrata dai mercati in coincidenza con la crisi di governo e la nascita della nuova maggioranza Pd-M5S, lo stock del debito italiano rimane inalterato. Anche se con la Commissione von der Leyen il rapporto sembra destinato a migliorare, tanto da far già circolare l’idea di nuova sostanziosa flessibilità a favore dell’Italia, il problema di fondo che ha portato al decreto di aggiustamento ai luglio resta.

La stessa presidente della Commissione nella sua prima lettera a Paolo Gentiloni, nominato commissario agli Affari economici, ha definito il debito un fattore di rischio per i governi. Non è dunque forse un caso che si torni in qualche modo a parlare di privatizzazioni, parola archiviata negli ultimi mesi, ma ricomparsa proprio negli ultimi giorni sulla stampa. L’ultima manovra e l’ultimo Def prevedevano 950 milioni di dismissioni quest’anno, piano su cui si sta procedendo, e 18 miliardi di privatizzazioni, in questo caso finora nemmeno avviate.

(di Mila Onder/ANSA)

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