Addio a Mugabe, morto l’ex padre-padrone dello Zimbabwe

Robert Mugabe
Mugabe scaglia una violenta arringa contro l'opposizione. (El Confidencial)

IL CAIRO. – Da eroe dell’indipendenza al tiranno più longevo degli ultimi tempi, fino a quando non fu deposto dai militari nel 2017. Robert Mugabe, l’ex padre padrone dello Zimbabwe, è deceduto all’età di 95 anni in una clinica di lusso a Singapore dove era ricoverato da alcuni mesi.

La morte risale a venerdì scorso, ma la notizia è stata data solo oggi con un tweet dall’attuale presidente dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa: “E’ con profonda tristezza che annuncio la morte del fondatore dello Zimbabwe e dell’ex presidente…Robert Mugabe”, ha scritto.

“Un’icona della liberazione, un panafricanista che aveva dedicato la sua vita all’emancipazione del suo popolo: il suo contributo alla storia della nostra nazione e del nostro continente non sarà mai dimenticato”, ha aggiunto.

Secondo quanto confermato alla Bbc dalla famiglia la norte sarebbe stata causata da una malattia – di cui non sono stati rivelati i dettagli – che aveva costretto l’ex presidente a essere ricoverato in una clinica di Singapore dall’aprile scorso.

Tanti i messaggi di cordoglio dal mondo per la sua morte. Dalla Cina che lo ha definito “un leader eccezionale per la liberazione nazionale” al Sudafrica che “piange un campione della lotta al colonialismo”.

Fino alla Gran Bretagna che s’inchina al dolore di coloro che lo piangono, secondo una nota del Foreign Office – ma che ricorda anche “i molti cittadini che hanno sofferto troppo a lungo sotto il suo potere autocratico”.

Era il 1980 quando Mugabe divenne premier dopo che l’allora Rhodesia, che lo aveva tenuto per 11 anni nelle sue galere, da colonia britannica ebbe l’indipendenza cambiando il nome in Zimbabwe.

Il suo primo atto politico rilevante fu la durissima repressione condotta contro lo Zapu (espressione della minoranza etnica ndebele), l’altro protagonista della guerra di liberazione antibritannica, costringendo poi lo stesso Zapu, nel 1988, ad una unificazione con il suo partito, lo Zanu (espressione della tribù maggioritaria degli shona) e dando luogo allo Zanu-Pf, sotto il suo comando.

Per una lunga fase ha gestito il Paese con moderazione, guadagnandosi un vasto consenso internazionale, fino al 1998, quando esplose una drammatica crisi economica e si verificarono scioperi e manifestazioni, anche violente, contro di lui.

Nei 37 anni al potere numerosi, ma tutti senza successo, sono stati i tentativi di ‘detronizzarlo’. E per quanto riguarda la comunità internazionale, frequenti sono state le pressioni di fronte al suo rifiuto di trasformare lo Zimbabwe in uno stato di diritto.

Su di lui sono piovute accuse di persecuzione delle minoranze etniche, di repressione violenta delle forze di opposizione, di corruzione e arricchimento a scapito della popolazione.

Accusato di aver affamato il suo Paese e di essersi appropriato degli aiuti internazionali, è stato nel mirino dei suoi detrattori anche per aver condotto una politica económica che ha alimentato l’attuale pesante crisi che attanaglia il Paese.

Con mosse spregiudicate, come quella di stampare grandi quantità di cartamoneta per coprire (anche) i finanziamenti delle diverse avventure belliche regionali in cui ha coinvolto lo Zimbabwe.

A precipitare la sua caduta, due anni fa, fu il suo tentativo di imporre la seconda moglie Grace, l’ex segretaria di 41 anni più giovane che gli ha dato tre figli, come suo successore alle presidenziali. Per farlo esautorò il suo ex delfino, il “coccodrillo” Emmerson Mnangagwa.

Ma senza riuscitci: il 15 novembre del 2017 un golpe non cruento delle forze armate lo aveva costretto alle dimissioni, confinandolo agli arresti domiciliari. Al suo posto, alla guida del partito, Mnangagwa diventato l’attuale presidente che oggi ha dichiarato Mugabe un “eroe nazionale”.

(di Gaetana D’Amico/ANSA)