Brexit: passa legge anti-no deal, è muro contro il voto

Johnson al Parlamento
Un veementeJohnson si sbraccia durante un discorso alla Camera dei Comuni. (open.online)

LONDRA. – Elezioni sì, elezioni no, o – meglio – elezioni quando. S’inasprisce lo scontro in Gran Bretagna sulla Brexit e si moltiplicano gli ostacoli sul cammino di Boris Johnson, che tuttavia sembra voler fare finta di nulla.

Convinto di poter arrivare comunque al voto “del popolo” e strappare alla fine una vittoria che già insegue a colpi di comizi anticipati. La settimana per il premier Tory si chiude con un’altra sconfitta.

L’approvazione (pur ormai scontata) della legge anti-no deal da parte della Camera dei Lord, dopo quella imposta nei giorni scorsi dai Comuni dove il testo era stato concepito dalle opposizioni (laburisti in primis) e da un drappello di conservatori dissidenti con un obiettivo preciso: sbarrare il passo all’uscita del Regno dall’Ue il 31 ottobre e imporre all’esecutivo quell’ulteriore rinvio che BoJo continua a bollare come una potenziale “resa”, proclamando di essere pronto a qualunque sfida pur di non sottoscriverne la richiesta di fronte a Bruxelles al prossimo Consiglio europeo (17-18 ottobre).

Per tagliare il nodo gordiano e uscire dallo stallo la sua soluzione a questo punto resta una e una sola. Il ricorso immediato alle urne. Ma è qui che le cose si complicano, perché i partiti d’opposizione, che pure affermano da mesi di agognarlo, non intendono per ora concederglielo. Quanto meno non nei termini lampo della data che indica lui, il 15 ottobre.

Il governo ha annunciato per lunedì una seconda mozione per lo scioglimento della Camera, dopo il flop della prima. Ma la trincea del no è pronta a far mancare di nuovo il quorum richiesto dei due terzi dei deputati.

Inizialmente il leader del Labour, Jeremy Corbyn, aveva parlato della necessità di attendere come elemento di garanzia fino all’entrata in vigore della legge anti-no deal: cosa che avverrà proprio lunedì, col previsto Royal Assent della regina dopo l’ok dei Lord.

Ora però ha cambiato idea, spinto dalla strategia architettata da alcuni dei suoi che mira a tenere Johnson a bagnomaria, confidando di poter trascinare la partita a scacchi fino a novembre e metterlo di fronte alla scelta se umiliarsi sulla proroga o violare la legge.

Una strategia che forse non tiene conto di possibili cavilli, ma che Corbyn ha confermato oggi stesso in un incontro di coordinamento tenuto in teleconferenza con i rappresentanti delle altre formazioni anti-Boris (gli indipendentisti scozzesi dell’Snp, quelli gallesi di Plaid Cymru, i LibDem e l’unica deputata Verde di Westminster).

“La possibilità di avere un’elezione generale è ovviamente assai attraente per noi”, si è in qualche modo giustificata Emily Thornberry, titolare degli Esteri nel governo ombra di Corbyn, “ma dobbiamo prima risolvere una crisi imminente” e fermare un primo ministro “inaffidabile”.

“Questa è gente che non crede nel popolo”, ha attaccato per tutta risposta Johnson, che oggi ha spostato la sua personale campagna elettorale ad avvio precoce in Scozia, territorio a maggioranza ostile alla Brexit, dove ha cercato di far breccia promettendo 200 milioni di sterline per l’agricoltura (oltre a compiere una visita di cortesia alla regina nel castello di Balmoral).

Un popolo che non ne può più di “dilazioni e rinvii”, ha martellato, impancandosi a vestire i panni dell’uomo del fare nemico dei giochi di palazzo attribuiti all’opposizione.

Contro di lui pesano d’altronde i paletti parlamentari, le divisioni interne al suo stesso partito, le critiche crescenti per gli impazienti atteggiamenti muscolari: come nel caso di ieri, quando nello Yorkshire s’è esibito in un comizio di parte circondato da poliziotti in divisa.

A suo favore gioca però la sentenza con cui l’Alta Corte britannica ha confermato la legittimità della sua sospensione del Parlamento dalla settimana prossima al 14 ottobre, contro il ricorso della pasionaria pro Remain Gina Miller: uno stop che – salvo rovesciamenti il 17 settembre alla Corte Suprema – gli lascerà campo libero per più d’un mese. Se non altro sul fronte della propaganda.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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