Il nodo Rousseau, Di Maio stretto tra base e fronda

Il ministro del Lavoro dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio con il sottosegretario per gli Affari Esteri Manlio Di Stefano.
Il ministro del Lavoro dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio con il sottosegretario per gli Affari Esteri Manlio Di Stefano. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – Domanda, tempistica, e chiaramente, risultati: il voto su Rousseau che dovrà certificare il governo M5S-Pd porta in capo a Luigi Di Maio una serie di problematiche. Non da ultimi, i malumori di una serie di eletti sulla scelta, da parte dei vertici, di autorizzare il voto degli iscritti senza mandato dei gruppi.

Ma il voto online ci sarà e sarà indetto dopo che Giuseppe Conte avrà l’incarico da parte del Quirinale e prima che il premier chieda la fiducia alle Camere. Anche se, nella giornata dell’incontro delle delegazione M5S con il presidente Sergio Mattarella, nel Movimento si motiva così la scelta: è come se fosse una direzione del Pd. E non è escluso che un simile concetto sia stato sottolineato dallo stesso Di Maio nel faccia a faccia con Mattarella.

Resta il nodo della domanda, oltre a quello della tempistica. In questo senso, se Conte raggiungerà l’obiettivo del governo gialo-rosso, è difficile che nel quesito venga posta la parola Pd: troppo netta, in queste ore, è l’insofferenza di una parte dei militanti per i Dem.

Più probabilmente, il capo politico porrà ai suoi iscritti una serie di questioni legate al futuro dell’Italia, accompagnate dall’opportunità che sia il M5S, al governo, a risolverle. Ma i malumori nel Movimento non si placano, tra chi ancora rimpiange l’alleanza con la Lega, chi preferisce il ritorno alle urne e chi, invece, vorrebbe maggiore decisione da parte dei vertici nell’alleanza con i Dem.

Non a caso la mattinata inizia con una serie di messaggi di sostegno da parte di diversi parlamentari del Movimento: “siamo tutti con Di Maio, il Movimento è compatto”, è il concetto che viene ribadito più o meno univocamente da “big” e “peones” pentastellati, incluso Stefano Buffagni, tra i meno entusiasti dell’abbraccio al Pd.

Ed è un concetto che viene ribadito a due interlocutori: i Dem, innanzitutto, ma anche la fronda interna. Nell’assemblea congiunta qualche voce discordante non è mancata. Qualcuno ha fatto notare come il voto su Rousseau dovesse essere indetto prima dell’incarico a Conte, come successe nel maggio dell’anno scorso. Qualcun altro ha puntato il dito contro Alessandro Di Battista e i suoi strali anti-Pd.

Una successiva assemblea dei gruppi si potrebbe registrare a ridosso dell’eventuale fiducia al nuovo governo e dopo il voto su Rousseau. Difficile che il quesito riguardi la squadra del nuovo governo. Anche perché le trattative sono lunghe e non riguarderanno solo MS5 e Pd ma anche le tante anime interne del Movimento.

“L’attenzione deve essere sui temi, il resto verrà da sé”, avverte Riccardo Ricciardi. Avanzando il messaggio degli ortodossi: prima il programma, poi le poltrone.

(di Michele Esposito/ANSA)

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