“In 15 su un barchino dalla Libia, solo io vivo”

L'etiope Mohammed Adam Oga
L'etiope Mohammed Adam Oga nel Policlinico Universitario di Msida ritratto nel Times of Malta. (Corriere della sera)

LA VALLETTA.- Mohammed Adam Oga è il nome di un miracolato. Ha 38 anni, è etiope ed è l’unico sopravvissuto di un drammatico viaggio nell’orrore blu del Mediterraneo tra Libia ed Europa. L’unico vivo su 15, tutti gli altri morti di stenti in 11 giorni sotto il sole, in mezzo al mare, senza benzina, senza acqua, senza cibo, senza riparo.

Tra loro, anche una donna incinta. Nessun altro ce l’ha fatta. Senza la tempra di Mohammed, sarebbe stata solo un’altra delle tragedie che si consumano in silenzio. Mohammed invece ce l’ha fatta.

E’ lui l’uomo che un elicottero delle forze armate maltesi ha raccolto dal mare su un barchino gonfiabile lunedì scorso. Era in fin di vita, accasciato sul cadavere del suo ultimo compagno di traversata. Ed oggi non ha rimpianti: “Sono vivo. Sono felice”.

Portato al Mater Dei, il policlinico universitario di Malta, Mohammed è sopravvissuto alla gravissima disidratazione che stava compromettendo gli organi interni. Oggi dal suo letto in ospedale ha raccontato ad una giornalista del Times of Malta l’incubo di 11 giorni alla deriva.

“Eravamo in 15 su quella barca e sono l’unico ad avercela fatta. E’ Dio che mi ha mandato i maltesi” ha detto con l’aiuto di un interprete.

Ha raccontato di essere stato un attivista político originario dell’Etiopia impegnato con l’Oromo Liberation Front, che chiede l’indipendenza della regione dell’Oromia ed è stato dichiarato fuorilegge. “Se torno in Etiopia mi arrestano”. Gli ultimi 15 anni, ha detto, li ha passati in Eritrea, in fuga dal suo paese. Poi è passato nel Sudan in piena crisi.

“Un amico mi ha consigliato di provare a raggiungerlo in Germania”. Così Mohammed è andato in Libia, dove ha incontrato Ismail, il suo ultimo compagno. Con lui ha raggiunto Zawia, a 45 chilometri da Tripoli, ed il contrabbandiere che li ha affidati al barchino.

La foto diffusa lunedì scorso dalle forze armate maltesi, intervenute per il salvataggio dopo che il barchino era stato individuato da un aereo ricognitore del Frontex, l’agenzia europea delle guardie di frontiera, raccontava l’angoscia di una traversata impossibile.

Ma Mohammed ha spalancato la porta sull’orrore: “Prima è finita la benzina, poi il cibo, poi l’acqua. Alcuni di noi hanno cominciato a bere l’acqua del mare. E dopo cinque giorni sono morti i primi due”. I giorni hanno continuato a scorrere, con temperature oltre i 35: “Ne sono morti due al giorno”.

“Vedevamo passare navi, elicotteri, aerei. Gridavamo e ci sbracciavamo. Nessuno si è fermato. I corpi hanno cominciato a puzzare. Ed abbiamo dovuto decidere di buttarli a mare. Ogni giorno buttavamo in mare i corpi di quelli che non ce la facevano. Ed alla fine siamo rimasti soli”.

“Ismail ha detto: ‘Sono morti tutti, perché dovremmo farcela noi?’: Ha cominciato a buttare tutto a mare, a urlare che dovevamo morire insieme: Ma io non volevo morire”. Ed è rimasto in fondo a quel barchino finché un elicottero maltese lo ha riportato alla vita.

(di Marco Galdi/ ANSA)