L’isola di Epstein al setaccio, caccia alla cassaforte

Il villino di Epstein
Il villino di Eptein all'isola di Little St. James nei Caraibi. (Il Secolo XIX)

WASHINGTON.- L’isola dei pedofili, oppure l’isola delle orge. Questa la fama di Little St.James, un angolo di Paradiso nel cuore dei Caraibi trasformato da Jeffrey Epstein in quella che i residenti dell’arcipelago delle Virgin Islands hanno da tempo ribattezzato Isle of Sin, isola del peccato.

Da quando 20 anni fa il finanziere americano l’acquistò per farne il rifugio più remoto delle sue perversioni, lontano dai riflettori di Manhattan o di Palm Beach.

Ora quell’isola è da due giorni al setaccio degli agenti dell’Fbi e degli uomini della polizia di New York, a caccia di prove che diano nuovo impulso alle indagini sugli abusi sessuali e il traffico di minorenni che Epstein aveva messo in piedi con i suoi complici.

A bordo delle golf car i federali si spostano da una parte all’altra dell’atollo, e stando alle immagini riprese dall’alto da un drone avrebbero già sequestrato alcuni computer e altro materiale sistemato in alcuni scatoloni.

Ma il vero colpo grosso potrebbe essere un altro: la cassaforte di acciaio che si trova nella residenza principale dell’isola e che – racconta all’agenzia Bloomberg un ex addetto della tenuta – potrebbe contenere ben altro che soldi in contanti e ben altri segreti.

A Little St. James Epstein andava spesso e arrivò ad avere fino a cinque imbarcazioni, tra cui un ferry da 200 posti con cui ospiti e lavoranti facevano la spola dalla vicina St. Thomas. Portava molte persone e, secondo i racconti, molte giovani donne che prendevano il sole a bordo piscina in topless, mentre lui si aggirava in costume, a torso nudo e ciabatte da mare.

E non tollerava di vedere intorno gli addetti alla manutenzione, ordinando che stessero il più possibile alla larga dalla villa. Eppure qualcuno giura di aver visto tra gli ospiti Bill Clinton e altri potenti. Ma la gran parte degli addetti dell’isola furono costretti un paio di anni fa a firmare accordi di segretezza per non svelare nulla di quanto avevano visto.

Intanto a New York è scattata la prima causa civile contro il patrimonio di Epstein, valutato in almeno 550 milioni di dollari. A presentarla Jennifer Araoz, 32 anni, che accusa di essere stata adescata quando aveva 14 anni davanti a un liceo di Manhattan e abusata in casa Epstein da quando ne aveva 15, con tanto di stupro nel 2002.

La donna – che ha raccontato la sua storia sul New York Times – punta il dito anche su Ghislaine Maxwell, la sodale di Epstein tuttora ricercata, e tre membri dello staff che accusa di complicità: tre donne che nelle carte vengono chiamate Jane Doe 1, 2 e 3, e che svolgevano rispettivamente il ruolo di reclutatrice delle minorenni, di segretaria e di domestica.

“Anche loro hanno reso possibile che tutto ciò accadesse”, afferma il legale della Araoz, che andava nella lussuosa mansion nell’Upper East Side di Manhattan una o due volte a settimana per una o due ore pagata 300 dollari a volta per fare quei famigerati massaggi che quasi sempre degeneravano in prestazioni sessuali.

Va avanti anche l’indagine su come sia stato possibile che Epstein si sia tolto la vita in una prigione federale. Dalle ultime indiscrezioni emerge come i due agenti penitenziari sospesi si siano addormentati durante il loro turno di vigilanza omettendo di controllare la cella del finanziere per ben tre ore la notte prima del suicidio.

E falsificando il rapporto per coprire la loro grave mancanza. Trasferita temporaneamente anche la direttrice del carcere in attesa dell’esito delle inchieste condotte dall’Fbi e dal Dipartimento di giustizia.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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