Trump sfida la rabbia di El Paso dopo la strage

Memorial a El Paso
Memorial per le vittime di El Paso in un tabellone nel parcheggio del Walmart, dove é avvenuta la strage. (JOHN LOCHER AP)

WASHINGTON.- Per Donald Trump è stata una delle giornate più lunghe da quando è presidente. La visita a Dayton e ad El Paso, teatri delle stragi che nel weekend hanno provocato 31 morti, è stata accolta come previsto da molte proteste. Quelle di chi pensa che il tycoon sia in parte responsabile con la sua retorica incendiaria di quanto accaduto.

E con i democratici che, oramai in piena campagna elettorale per le presidenziali del 2020, lo accusano di aver alimentato dopo due anni alla guida del Paese razzismo e suprematismo bianco. Un concetto ribadito con fermezza dall’ex vicepresidente Joe Biden.

La contestazione è stata dura soprattutto nella città texana al confine col Messico, dove il giovane killer Patrick Crusius, 21 anni, ha preso di mira la comunità ispanica dopo aver parlando sui social di “invasione del Texas”. Le stesse parole più volte usate dal tycoon che proprio di El Paso aveva fatto il centro della sua battaglia per costruite il muro, sfidando la volontà della popolazione locale. Così il dolore ha lasciato presto il posto alla rabbia.

All’arrivo del presidente e della first lady a Dayton (la Casa Bianca non aveva rilasciato i dettagli della visita proprio per ragioni di sicurezza) in centinaia si sono riversati in strada per manifestare la propria frustrazione per una presidenza considerata troppo accondiscendente verso l’ascesa di gruppi di estrema destra e troppo timida nell’affrontare la piaga delle armi da fuoco.

Così mentre Trump entrava nell’ospedale dove sono stati ricoverati i feriti scampati alla furia del 24enne Connor Betts, dalla folla si sono levate le urla di molti: “Basta odio”, “Fai qualcosa”, “Devi andartene”. Momenti di tensione anche per la presenza di alcuni sostenitori del tycoon.

Ancora piu’ gente per le strade di El Paso, dove il messaggio dei manifestanti, in grandissima parte latinos, e’ stato piu’ che esplicito: “Non sei il benvenuto”. In molti considerano la visita del tycoon come “un’intrusione non necessaria” in una comunità che si sta sforzando di elaborare il lutto e sta cercando di reagire.

Il sentimento è quello dell’ira per quanto accaduto ma anche di paura: “Ci sentiamo oramai come delle prede con qualcuno alle spalle che ci da “la caccia”, spiegava davanti alle telecamere delle tv uno dei tanti immigrati ispanici, soprattutto messicani, che popolano la variegata comunità della città texana.

Durissimo lo scambio con Beto O’Rourke, candidato democrático alla Casa Bianca che ad El Paso e’ di casa: “Stia zitto!”, aveva twittato il tycoon, reagendo alle accuse di aver contribuito con la sua retorica anti immigrati a creare il clima della strage.

Secca la replica di O’Rourke: “Nella mia città sono morte 22 persone per un atto di terrore ispirato dal suo razzismo. El Paso non stara’ mai zitta e nemmeno io!”. Ma Trump tira dritto per la sua strada. E nonostante le autorità locali lo abbiano invitato a non alzare i toni prima di partire per i luoghi delle stragi ha ribadito con forza il suo mantra: “L’immigrazione illegale è una cosa terribile per questo Paese e la fermeremo, anche col muro”.

E alla domanda se temesse l’ascesa del suprematismo bianco, il presidente ha risposto che a preoccuparlo “è l’ascesa di qualunque gruppo che inciti all’odio”.

Intanto l’Fbi indaga proprio sulle ideologie che hanno ispirato i due killer del fine settimana, trattando i due casi come “terrorismo interno”. Si scava soprattutto nella vita del killer di Dayton, rimasto a sua volta ucciso, che ora si scopre era ossessionato dalle sparatorie di massa. Un’ora prima della strage, come mostra un nuovo video, era nello stesso bar con degli amici e la sorella Megan che e’ stata una delle nove vittime.

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