Trump: “Pena di morte per le stragi”. Ma non parla di armi

Manifestanti a Ciudad Juárez
Un gruppo di persone sostengono i telefonini con le luci accese in segno di solidarietá con le vittime di El Paso, Texas. in una manifestazione di sabato scorso a Ciudad Juárez, Messico. (Herika Martinez/AFP)

WASHINGTON. – Stavolta Donald Trump, dopo i 30 morti di El Paso in Texas e di Dayton in Ohio, condanna senza esitazione alcuna il razzismo, il suprematismo bianco e ogni tipo di intolleranza, spingendosi a chiedere una legge che introduca la pena di morte per chi compie stragi di massa e crimini d’odio.

Ma sul presidente americano è bufera: parlando alla nazione in diretta tv dalla Casa Bianca elenca le cause di un fenomeno sempre più inquietante in America e dà la colpa al clima di violenza alimentato dalle fake news, dai social media, persino dai videogame. Chiede unità anche per affrontare il problema sempre più assillante e diffuso delle malattie mentali, ma evita accuratamente di parlare di armi. Nessuna stretta in vista insomma, almeno stando alle sue parole.

Eppure in un tweet di poche ore prima il tycoon aveva almeno evocato un giro di vite sui controlli, i cosiddetti “background check” per verificare se chi acquista pistole o fucili abbia precedenti penali o soffra di disturbi psichici. Ed aveva invitato repubblicani e democratici a produrre uno sforzo unitario per inserire eventuali nuove norme all’interno della riforma sull’immigrazione. Ma rivolgendosi agli americani nessun accenno ad una proposta concreta.

Il presidente di fatto ha ignorato quella che oramai è riconosciuta come una vera e propria emergenza nazionale, una piaga che non ha eguali nei Paesi civilizzati, in un Paese che ha la più alta percentuale di armi da fuoco sulla Terra: basti pensare, secondo le ricerche più recenti, come gli Usa rappresentino il 4,4% della popolazione mondiale e posseggano il 42% delle armi da fuoco in circolazione nel mondo.

“L’odio non ha posto in America e uniti vinceremo la sfida”, promette Trump che per una volta abbandona i toni concitati per assumere un atteggiamento contrito e presidenziale, pur senza arrivare alle lacrime di Barack Obama dopo la strage di bambini di Newtown nel 2012.

Proprio Obama in un lungo post sui social attacca duramente, pur senza mai citarlo, il tycoon: “Basta leader che alimentano paura e odio o tendono a minimizzare il razzismo. Leader che demonizzano coloro che non ci assomigliano e suggeriscono come gli immigrati minacciano il nostro modo di vivere o che l’America appartiene solo a un certo tipo di persone”.

La strage di Newtown fu quella che più commosse l’America e il mondo intero, ma neanche dopo allora si è riusciti a imprimere una svolta, con la lunga scia di sangue che ha continuato a scorrere negli anni senza che il Congresso, per molti ostaggio della potente lobby delle armi della Nra, sia stato in grado di varare una legislazione più severa. Come quella che dovrebbe portare al divieto assoluto di vendita dei fucili di assalto, micidiali armi semiautomatiche nate per la guerra ma protagoniste di quasi tutti gli eccidi di massa negli Usa.

L’ultimo appello per varare il bando arriva dal New York Post, il cui proprietario è uno degli alleati di Trump, il magnate dei media Rupert Murdoch.

Ma al momento il tycoon, accusato dai leader democratici di essere nelle mani della Nra, non sembra intenzionato ad ascoltare e conferma come l’Fbi stia conducendo un’operazione a tappeto in tutto il Paese per sventare nuove possibili minacce: si temono episodi di emulazione di El Paso e Dayton. Mentre, con la campagna elettorale per le presidenziali del 2020 inevitabilmente monopolizzata da quanto accaduto, infuria la polemica anche sui suoi proclami del passato, visti dagli avversari tra le cause del clima d’odio contro gli immigrati.

Quell’odio di cui si è nutrito il killer di El Paso, che nel suo manifesto delira sull’invasione del Texas dal confine messicano, un’invasione più volte evocata dal presidente. Intanto il bilancio delle vittime della sparatoria nella città texana sale a 22, mentre quello di Dayton è di almeno 9.

Monta nel frattempo l’ira del Messico. Il presidente e il ministro degli esteri hanno promesso di avviare azioni legali contro l’amministrazione Trump accusata di aver fallito nel proteggere i cittadini messicani negli Usa: almeno 9 quelli uccisi dal killer di El Paso.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)