La guerra dei dazi tra Usa e Cina affonda le Borse mondiali

Un trader guarda su una serie di monitor l'andamento dei cambi alla Borsa di Pechino.
Un trader guarda su una serie di monitor l'andamento dei cambi alla Borsa di Pechino. (ANSA/AP Photo/Ahn Young-joon)

WASHINGTON. – Rischio escalation nella guerra dei dazi, con la Cina che minaccia ritorsioni dopo che Donald Trump ha annunciato dal primo settembre nuove tariffe del 10%, incrementabili sino al 25%, su altri 300 miliardi di merci del Dragone, affondando le principali borse mondiali, dall’Asia all’Europa sino a New York.

Nelle prime ore di contrattazioni Tokyo ha perso il 2,5%, Hong Kong il 2,3%, Parigi che ha lasciato sul terreno il 3,5%, Francoforte il 2,43% , Londra l’1,76% e Milano, dopo una fiammata a -2,36%, ha ridotto le perdite a -1,6%, bruciando però in una sola seduta 14 miliardi di euro. E con lo spread italiano che si è spinto fino a quota 210. In rosso, seppur più contenuto, anche Wall Street che a metà giornata era sotto di quasi l’1%.

Ulteriori tensioni sta suscitando la mini guerra commerciale tra Giappone e Corea del sud, con Tokyo che ha deciso di rimuovere Seul dalla lista dei Paesi che godono di un trattamento preferenziale nell’export e Seul che ha risposto allo stesso modo, minacciando anche la fine di un patto militare di collaborazione dell’intelligence.

Un segnale di distensione arriva invece nei rapporti tra Usa e Ue, con l’annuncio da parte di Trump di un accordo per vendere piu’ carne bovina americana nell’Unione europea.

Ma a tenere banco è il braccio di ferro tra Stati Unti e Cina. Pechino accusa il tycoon di violare con i nuovi dazi l’accordo che aveva stretto con il presidente cinese Xi Jimping al G7 di giugno per la ripresa dei negoziati interrotti il mese prima. Se Washington imporrà le tariffe, ha ammonito la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying,

Pechino “dovrà prendere le necessarie contromisure per difendere risolutamente i suoi interessi chiave”. “Non vogliamo combattere ma non abbiamo paura di farlo”, ha aggiunto, invitando gli Usa ad “abbandonare le sue illusioni, correggere i suoi errori e tornare alle consultazioni su una base di eguaglianza e reciproco rispetto”.

Ma la Cina ha poche munizioni nel suo arsenale. Trump aveva già imposto dazi del 25% su 250 miliardi di prodotti cinesi e Pechino aveva risposto con misure simmetriche su 110 miliardi di dollari di merci americane. Ora il tycoon ha più che raddoppiato, ma a Pechino restano da “tassare” solo altri 50 miliardi di export statunitense.

Ci sono poi altre misure ritorsive asimmetriche. Come quella di rallentare le operazioni di dogana per le compagnie americane, bloccare le licenze nelle assicurazioni e in altri campi, creare una blacklist di società straniere. O vendere parte dei titoli del debito Usa, però con possibili effetti boomerang.

L’aumento dei dazi si ripercuoterà sui prezzi al dettaglio dei beni di consumo, dall’abbigliamento alle scarpe, dai telefonini (Apple in particolare) alle sciarpe di seta. Quindi a pagare in prima battuta non sarà la Cina, come si ostina a sostenere Trump, ma i consumatori.

Il tycoon ha spiegato di voler introdurre nuove tariffe perchè i negoziati, ripresi nei giorni scorsi, vanno a rilento e perchè Pechino non ha rispettato due promesse: bloccare le vendite di Fentanyl in Usa, l’oppiaceo che causa centinaia di morti negli Stati Uniti, e acquistare una grande quantità di prodotti agricoli americani, in particolare la soia.

Una promessa, quest’ultima, molto cara al presidente, che non vuole perdere il consenso dei “farmer” per la sua rielezione. Il tycoon teme inoltre che Pechino giochi a prendere tempo, confidando in una sua posizione più conciliante in piena campagna elettorale – quando dovrà rendere conto delle sue promesse – o nella vittoria di un candidato democratico alle presidenziali del 2020.

Ma, ha minacciato, “se e quando vincerò io, l’accordo che otterranno sarà molto più duro di quello che stiamo negoziando ora…o non ci sarà nessun accordo affatto”. Un”’no deal” che accrescerebbe le ripercussioni di quello sulla Brexit, con conseguenze sui mercati del pianeta.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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