Industria Italia Cenerentola, guadagna poco investe meno

fabbrica di automobili
Catena di montaggio in una fabbrica di automobili. Euronews)

MILANO. – La grande industria Italia è un po’ Cenerentola. Guadagna poco, generando solo lo 0,6% degli utili dei big europei, ma investe meno, con gli investimenti che sono il vero ‘tallone d’Achille, calati dal 2014 del 9%. E con ogni probabilità l’ordine dei fattori andrebbe invertito.

Emerge dell’Annuario R&S di Mediobanca, che ha prima fotografato i 42 grandi gruppi industriali italiani, poi ha confrontato i 10 maggiori coi competitor europei.

Nel 2018 il giro d’affari dei 42 gruppi quotati ha raggiunto i 366 miliardi di euro, +3,3% sul 2017. Il dato, pur positivo, segna un rallentamento, visto che l’anno prima la crescita era stata del 6,6%. Fondamentali le esportazioni (+6%), mentre è sempre debole la domanda interna (+0,2%).

Il settore energético ha la parte del leone,con oltre la metà (il 52,8%) del fatturato complessivo, grazie anche +7,5% dei ricavi dovuto pure all’aumento del prezzo del greggio.

La regina della classifica è Eni, tornata in vetta, con 75,8 miliardi di ricavi, quattro anni di dominio Enel. I “monopolisti” delle reti continuano ad avere margini nettamente superiori: nel 2018 in vetta alla classifica per ebitda margin stanno Snam e Terna con margini del 55% e 51,4%.

Cresce anche la manifattura “pura” (che rappresenta oltre un quarto del giro d’affari totale). Il settore privato dimostra tutta la sua maggiore dinamicità, visto che è cresciuto del 3% mentre quello pubblico solo dell’1,7%. Il confronto diventa poi impietoso se si allarga l’orizzonte ai cinque anni: +30,7% i privati, -17,3% i pubblici.

In chiaro scuro il dato dell’occupazione, aumentata l’anno corso nei 42 gruppi (+2,7%) ma solo all’estero (+12,2%) e non in Italia (-0,5%).

Se si sposta lo sguardo oltre confine il quadro è ancora più complesso. L’anno scorso i primi dieci grandi gruppi della manifattura italiana hanno realizzato solo il 5,5% del fatturato cumulato dai 40 maggiori gruppi europei: i tedeschi il 55,8%, i francesi il 25,6% e quelli del Regno Unito il 13,1%.

I Top 10 nostrani valgono solo il 4,6% del Pil nazionale, i tedeschi il 24,1%, i francesi il 15,9% e i britannici l’8%.

L’Annuario di Mediobanca mette appunto in luce che i big italiani arrancano pure sul fronte degli utili, visto che in cinque anni hanno generato solo 3 dei 493 miliardi (cioè lo 0,6%) messi in casa complessivamente dai top 40. Una percentuale striminzita che per giunta si è pure quasi dimezzata rispetto all’anno scorso. E soffrono pure in Borsa,visto la loro capitalizzazione dal 2014 è calata dell’8,7%.

Inutile dire infine che nessun italiano sta nella Top 10 europea per fatturato, dominata dalla Germania (a meno di non considerare italiana Exor, terza, anche se è di diritto olandese). E che, come accaduto nel 2017, anche l’anno scorso i big tedeschi hanno fatturato poco meno della metà del Pil italiano.

Se però redditività e investimenti sono un fattore di debolezza, i big italiani sono decisamente più solidi sul fronte patrimoniale. Tutto, spiega l’area studi di Mediobanca, grazie alla bassa incidenza della componente immateriale sul totale attivo e alla disponibilità in cassa.

Con un capitale netto tangibile in percentuale dei debiti finanziari pari al 57,3%, i dieci grandi gruppi italiani sono secondi solo ai tedeschi (88,9%) ma più solidi dei francesi (48,1%) e dei britannici (in negativo).

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