In crisi shopping cinese negli Usa, investimenti -90%

Cina, una persona davanti allo schermo con i valori della Borsa.
Cina, una persona davanti allo schermo con i valori della Borsa.

NEW YORK. – Si inceppa la macchina degli investimenti cinesi negli Stati Uniti. E l’economia a stelle e strisce inizia a sentirne gli effetti dalla Silicon Valley al mercato immobiliare di New York, passando per gli stati cari a Donald Trump, quelli che gli hanno regalato la presidenza. I dati non lasciano adito a dubbi: gli investimenti esteri diretti cinesi negli Stati Uniti sono crollati a 5,4 miliardi di dollari nel 2018 rispetto al picco di 46,5 miliardi nel 2016.

Un crollo di quasi il 90% che coincide con i primi due anni alla Casa Bianca di Trump. Due anni sulle montagne russe per i rapporti fra i due paesi alle prese con una guerra commerciale che, almeno per il momento, non sembrano in grado di risolvere. I lavori dietro le quinte proseguono, i contatti fra Washington e Pechino sono ripresi e, secondo indiscrezioni, il segretario al Tesoro Steven Mnuchin potrebbe volare in Cina la prossima settimana per trattare di persona intorno a un tavolo e raggiungere un’agognata intesa commerciale.

Proprio lo scontro sugli scambi è uno dei motivi della fuga cinese dagli Usa. A questo si aggiungono i maggiori controlli di Pechino che rendono più difficile per gli investitori cinesi acquistare Made in Usa, ma anche i ripetuti allarmi lanciati nel corso degli ultimi anni dalle autorità americane sull’eccessivo shopping della Cina negli Stati Uniti.

Gli ultimi episodi sono relativamente recenti: nei mesi scorsi le autorità statunitensi hanno costretto la cinese HNA a vendere una proprietà per motivi di sicurezza legati alla sua eccessiva vicinanza alla Trump Tower. Nel 2018 ai proprietari cinese dell’app per appuntamenti Grindr è stato chiesto di trovare un acquirente: una richiesta sulla scia dei timori che Pechino avesse potuto usare le informazioni personali in suo possesso per far leva su funzionari americani.

Le pressioni di Washington e Pechino sulle rispettive aziende hanno avuto come effetto quello di complicare i tentativi di alleanza fra le società dei due paesi. A pagare il conto più salato delle tensioni è il settore immobiliare: nel 2018 gli acquirenti cinesi hanno acquistato proprietà commerciali americane dal valore di 2,3 miliardi di dollari. Allo stesso tempo però ne sono state vendute per 3,1 miliardi. Ancora più pesante il colpo accusato dalle proprietà residenziali: gli acquisti cinesi sono crollati del 56% dall’inizio dell’anno.

Anche se la debolezza degli investimenti cinesi difficilmente sarà in grado di far deragliare l’economia americana, l’allerta inizia a salire considerato che nella ritirata cinese dal Made in Usa ci sono anche i titoli di stato americani: in maggio quelli in portafoglio della Cina sono calati per il terzo mese consecutivo, scendendo a 1.110 miliardi di dollari, ai minimi dal maggio 2017. Nonostante la flessione Pechino resta il maggior creditore estero statunitense. Ma il trend preoccupa e il prolungarsi della guerra commerciale rischia di accelerarlo.

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