Washington Post: “Huawei ha aiutato la Corea del Nord sulla rete 3G”

Kim Jong-il
Kim Jong-il con il suo figlio e attuale dittatore di Corea del Nord, Kim Jong-un. (The Ney Yorker)

NEW YORK.  – Huawei ha aiutato la Corea del Nord a costruire e mantenere la sua rete wireless 3G: negli ultimi otto anni ha curato diversi progetti nel Paese guidato da Kim Jong-un insieme ad un’altra big cinese, Panda International.

L’indiscrezione del Washington Post piove come una doccia fredda su Huawei e su Donald Trump: le rivelazioni alimentano infatti i dubbi su possibili violazioni delle sanzioni americane a Pyongyang e rischiano di complicare la strada per un accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina, impegnate in una guerra che vede al centro proprio il colosso delle telecomunicazioni.

Secondo documenti riservati forniti da un ex dipendente di Huawei al Washington Post, i rapporti fra il gigante cinese e la Corea del Nord affondano le radici nel 2006, con la creazione della società nordcoreana Koryolink, nata poco dopo la visita segreta di Kim Jong-il, il padre di Kim Jong-un, al quartier generale di Huawei a Shenzhen, in Cina.

Koryolink ha avviato ufficialmente le sue attività nel 2008 come joint venture fra l’egiziana Orascom e la Korea Post and Telecommunications Corp, controlla da Pyongyang. Una joint venture in cui la cinese Panda ha avuto un ruolo cruciale.

Huawei ha usato Panda per fornire alla Corea del Nord antenne e apparecchiature per Koryolink, offrendo allo stesso tempo software e servizi di manutenzione della rete. I rapporti di fiducia fra Huawei e Pyongyang si sono intensificati negli anni, tanto che il governo nordcoreano ha chiesto al colosso cinese di sviluppare un protocollo codificato e protetto così da allentare i timori di spionaggio nei confronti del regime.

Nei documenti di Huawei visionati dal Washington Post non si fa riferimento diretto alla Corea del Nord, identificata invece con il nome in codice ‘A9’.

Huawei, da parte sua, smentisce le rivelazioni: “Non abbiamo alcuna attività” in Corea del Nord e “siamo impegnati a rispettare tutte le leggi nei Paesi in cui operiamo, inclusi i limiti all’export e le sanzioni”.

Ma la smentita non sembra destinata ad avere grande effetto, soprattutto per le grandi aziende hi-tech americane che cercano di ottenere dalla Casa Bianca le licenze necessarie per superare i divieti imposti con l’iscrizione del gigante cinese nella lista nera del commercio.

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